Rischia di creare seri incidenti diplomatici tra Cile e Israele la decisione di una squadra della massima serie cilena, il Club Deportivo Palestino, di indossare sulle nuove maglie per la stagione 2014 al posto del numero uno un’immagine stilizzata della Palestina. Il problema è che si tratta chiaramente della forma della Palestina storica, del territorio palestinese inteso fino al 1947: prima del piano di spartizione dell’Onu, della guerra arabo-israeliana, dell’esodo palestinese e della progressiva occupazione illegale dei territori da parte di Israele. Insomma, una chiara dichiarazione di intenti, cui ha risposto senza mezzi termini il presidente della comunità ebraica cilena Gerardo Gorodischer. “Sappiamo che la Fifa proibisce gesti simili – ha detto -. Non si può importare il conflitto in Medio Oriente attraverso il calcio, usando lo sport per mentire e odiare”.
Addirittura si è scomodato il Centro Simon Wiesenthal, organizzazione statunitense che prende il nome dal famoso cacciatore di nazisti, che ha chiesto alla Fifa e alla federcalcio cilena di sanzionare il Deportivo Palestino, colpevole di “fomentare istinti terroristici”. Non si è fatta però attendere la risposta del club, che ha scritto una nota in cui ricorda come il Cile nel 2011 abbia riconosciuto l’indipendenza dello Stato Palestinese e come “i simboli palestinesi esistono in Cile da 28 anni prima che avvenisse la spartizione dei territori medio-orientali”. Rivendicando così la gloriosa storia del Club Deportivo Palestino, fondato nel 1920 da un gruppo di emigrati palestinesi a Osorno, dove ancora oggi esiste una delle più grandi comunità palestinesi all’estero che può contare su circa 350mila persone tra immigrati di prima, seconda e terza generazione.
Vestito con i colori bianco, rosso, nero e verde della bandiera palestinese, il Palestino ha vinto due campionati cileni, nel 1955 e nel 1978, quando il capitano era il mitico Elias Figueroa, ancora oggi considerato il più forte giocatore cileno, anche se da ragazzino, ai Mondiali del 1966, non riuscì a fermare Sandro Mazzola nel 2-0 dell’Italia. Nel 1990 poi il club della comunità palestinese decise di assumere come tecnico un ex calciatore cileno laureato in ingegneria, il quale ricorda ancora oggi come il suo primo stipendio di allenatore era un decimo di quello che avrebbe guadagnato come ingegnere. Era Manuel Pellegrini, che partito da lì sarebbe poi arrivato ad allenare il Real Madrid e a sedersi oggi sulla panchina del Manchester City. Fino all’anno scorso nel Deportivo giocava invece l’argentino Lucas Simon, un passato nel Piacenza in Serie B qualche anno fa.
Mentre oggi l’idolo dell’Estadio Municipal de La Cisterna è senza dubbio il difensore Roberto Bishara, nato a Santiago ma che ha scelto di giocare per la nazionale della Palestina dal 2003, pochi anni dopo che la Fifa ha riconosciuto la rappresentativa nazionale palestinese come rappresentativa dell’Autorità Nazionale Palestinese. E così, nel mezzo di nuove estenuanti trattative per la pace con l’ennesima mediazione statunitense, il club ha deciso di rivendicare una volta di più le proprie origini, anche per sensibilizzare gli appassionati di calcio sulla continua occupazione illegale di territori palestinesi. E sulle spalle dei giocatori del Club Deportivo Palestino, che sia il numero 13 di Carrasco o il numero 11 di Osorno, il numero uno è stato sostituito dall’immagine della mappa del territorio palestinese che fu. Come spesso accade, il calcio diventa la prosecuzione della politica con altri mezzi.