Non è banale che, nella pur lenta acquisizione di consuetudini politiche collettive, (sempre più minacciate dall’oblio, dal mercato e dalla cancellazione dell’impegno sociale come collante civile) da qualche tempo non si pensi più solo all’8 marzo come data simbolica per ragionare sulla situazione delle relazioni tra i generi nel mondo.

Da quando, prima con il 13 febbraio di Snoq, poi con il 14 di One Billion Rising e ora con l’anticipo del 1 febbraio per l’emergenza autodeterminazione con la neonata Women are Europe, anche febbraio si gremisce di fermento tra le donne, e speriamo anche tra gli uomini di buona lena.

Certo, sempre in difesa di ciò che per qualche momento si è pensato essere diritto acquisito: vivere in una parte del mondo dove la cittadinanza, il lavoro, la giustizia, le pari opportunità, le scelte affettive, quelle sessuali e riproduttive fossero finalmente un patrimonio consolidato. Non è così.

Siamo ancora lontane dal constatare che gli obiettivi raggiunti dalle donne sono considerate, nella collettività, come conquiste anche per gli uomini e quindi giustizia e guadagno generale: il divorzio e il diritto di famiglia come fine del giogo patriarcale, i congedi parentali come nuova opportunità per il genere maschile di agire la parte accuditiva e responsabile verso i cuccioli e la cura, l’interruzione di gravidanza come strumento offerto agli uomini per confrontarsi con il proprio senso del limite nel far fronte alle decisioni di una donna sul suo corpo.

Il filo rosso e la parola chiave di questo febbraio così movimentato, e si auspica partecipato da donne e uomini di ogni età e provenienza di pensiero, sarà dunque quello della giustizia: per ricordare, il 1 febbraio, anche alle più giovani che l’interruzione di gravidanza non è libertà di abortire ma responsabilità condivisa nel generare, come hanno fatto le donne di Usciamo dal silenzio nella loro lettera alle nuove generazioni, e per ridare senso in Europa, (non solo in Italia), al filo che lega le donne come soggetto politico, con l’invito di WAE alla mobilitazione nel continente, e poi il 14 febbraio, con il rinnovo di One Billione Rising alla danza.

Non è banale, questo anticipo e questo fermento, che va curato con attenzione per non disperdere energie e fiducia.

Per usare le parole di Eve Ensler nel suo invito alla lotta e alla danza: ”Significa immaginare un futuro migliore e scrivere nuove leggi e una nuova legislatura. Significa rompere il silenzio, condividere le nostre storie, dare un nome e un’identità alle ingiustizie, creare richieste, organizzare forum, assemblee ed eventi, scrivere canzoni, poesie e opere teatrali, girare video. Significa individuare i luoghi in cui manifesteremo. Significa conoscere le lotte delle nostre sorelle in tutto il mondo e farle nostre. Significa portare in primo piano le più emarginate. Significa che la base sarà finalmente al comando. Significa che gli uomini si uniranno a noi e lotteranno insieme a noi. Significa riconoscere i luoghi di intersezione e nuotare in un unico fiume di giustizia. E’ una decisione e una visione del mondo in cui i corpi delle donne e il corpo della nostra madre terra saranno onorati, amati, saranno salvi e considerati sacri. Significa fiducia. Significa alzare la testa e dissolvere i confini, i margini, le separazioni. Manifestate liberatevi danzate per la giustizia”.

 

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