Cento città, mille campanili, zero in senso estetico. Siamo a Trapani, città toccata da Enea nel suo viaggio da Troia a Roma e trasformata nel 1286 da Giacomo d’Aragona in un dedalo fitto e disordinato di Palazzi medievali dove però, tra archi e rosoni, è più facile perdersi ascoltando i dialoghi ad alta voce dei trapanesi che seguendo i percorsi delle sue strade. Ecco la potenza espressiva delle città italiane: la stratificazione urbanistica e di stili architettonici che coesistono armoniosamente facendo dialogare pezzi di storia fra loro. Questa forza in molti casi oggi viene tradita. A Trapani per esempio sono riusciti a rovinare uno degli scorci più caratteristici della città.
Siamo in una piccola piazza, quasi uno slargo, creato dalla Chiesa di San Domenico, dal bellissimo rosone gotico e col suo fianco decorato dalle lesene di un barocco povero, e dalla Chiesa Badia Grande oggi centro di aiuto per rifugiati ed extracomunitari in difficoltà. Nel palazzo di fronte soggiornò l’imperatore Carlo V nel 1535 dopo aver sconfitto la flotta turca.
Seppur temporaneo e rimovibile, inoltre, non si capisce il senso di questo intervento. Per carità, nessuno vuole l’immobilismo, le piazze devono essere vissute e non devono restare imbalsamate. Ma non sarebbe stato più semplice, estetico ed economico mettere dei semplici funghi per riscaldamento esterno a fianco ai tavolini per i clienti? Trapani non si trova in Siberia… con 8/10 gradi la minima d’inverno si poteva lasciare ai trapanesi e ai turisti la libertà di vivere la bellezza che per noi altri hanno creato. A Trapani, come altrove, è così difficile mantenerla in vita?
Si ringrazia per la collaborazione l’architetto Filippo Giordano.