Ci sono anche i vertici della Sotris, una società partecipata dalla multiutility emiliano romagnola Hera, tra gli indagati nell’ambito dell’inchiesta della procura della repubblica di Milano su un traffico illecito di rifiuti pericolosi. Molti di questi sono infatti arrivati a Ravenna nel 2011 e conferiti in discarica “travestiti” da normali rifiuti solidi, mentre in quei carichi c’era un valore di carbonio organico totale superiore rispetto al livello consentito, oltre a valori elevati di mercurio. La provenienza di queste terre inquinate è quella delle ex aree Sisas di Pioltello, in provincia di Milano, un sito dove sino al 2001 si producevano sostanze chimiche e che dal 2004 è al centro di un difficile tentativo di bonifica, per il quale l’Italia ha ricevuto anche delle sanzioni dall’Unione Europea.

Tra i 38 indagati dai pm milanesi ci sono infatti anche Claudio Amadori, legale rappresentante e direttore generale della Sotris e Claudio Galli, consigliere della stessa azienda. Secondo la ricostruzione dei carabineri del Nucleo operativo ecologico che hanno eseguito le indagini, Galli era stato contattato dal funzionario del ministero dell’ambiente, Luigi Pelaggi, nominato nel 2010 commissario delegato dal governo per la bonifica ex Sisas e finito ora agli arresti insieme ad altre 5 persone. Ne era scaturito un patto secondo cui Sotris avrebbe messo in discarica quei rifiuti, nonostante non fossero normali rifiuti, ma “nerofumo” (cioè il prodotto dalla combustione incompleta di prodotti petroliferi) che si sarebbe dovuto bruciare o portare in delle discariche specializzate all’estero. Invece, secondo la ricostruzione degli investigatori, delle 7.500 tonnellate arrivate a Ravenna tra il 17 e il 31 marzo 2011, 6mila venivano messe in discarica in maniera illegale e con un classificazione inferiore rispetto al loro real grado di pericolosità, mentre solo una piccola parte veniva correttamente bruciata nel termo-valorizzatore di Ravenna, sempre di proprietà di Hera.

Ma per quale motivo Sotris sarebbe dovuta entrare in questo affare? Secondo la ricostruzione degli inquirenti, l’interesse di Galli, più direttamente coinvolto nella vicenda, sarebbe stato quello di entrare, in cambio di quei rifiuti, nel più importante business dei rifiuti in Campania, una regione in perenne stato di emergenza, cui Pelaggi avrebbe eventualmente potuto introdurlo grazie ai suoi poteri nel settore.

“Noi abbiamo sempre rifiutato di lavorare in Campania. Questa ricostruzione è veramente fantasiosa”, spiega Claudio Galli contattato da ilfattoquotidiano.it. “Noi non lavoriamo per la Campania”. Poi Galli racconta la sua versione dei fatti: “Abbiamo semplicemente trattato dei rifiuti con documentazione regolare quindi sono assolutamente sereno. Sono passati tanti anni e vado a memoria: fui contattato da Pellagi che mi chiedeva disponibilità a smaltire in un nostro impianto autorizzato a trattare rifiuti pericolosi. Lui infatti stava ricercando affannosamente impianti, possibilmente italiani, per smaltire entro la scadenza imposta dall’Ue per evitare la sanzione. Noi ci siamo messia disposizione a questo scopo”. Galli racconta, dal suo punto di vista la vicenda: “Su qualche migliaia di tonnellate, tre carichi risultavano essere fuori dai limiti e sono stati isolati, pre-trattati. Una volta fatte le caratterizzazioni con metodiche ufficiali e le documentazioni relative alle decodificazione di questo rifiuto, queste sono state mandate agli enti di controllo che hanno accettato l’applicazione e i metodi e hanno condiviso la correttezza delle analisi. A quel punto quei tre soli carichi sono stati trasferiti a smaltimento. E di questo sono stati avvisati tutti gli organi di controllo, compresi i carabinieri dei Noe”.

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