L’ultimo è stato Carlo Freccero, durante Piazzapulita di lunedì scorso: Renzi è di destra, perché, ha spiegato, “io sono ancora novecentesco, credo ancora nelle categorie di destra e sinistra”. Ma è di destra – voilà il teorema – anche perché quelli che un tempo votavano Berlusconi oggi votano Renzi (non è ammesso insomma, come ha detto lo sceneggiatore della Grande Bellezza di Sorrentino, Umberto Contarello, che si cambi idea).
Ma in che senso Renzi sarebbe di destra? Perché se facciamo riferimento alla sua cultura politica, all’ideologia in breve, è dura definirlo così. Come si è visto in maniera lampante nel confronto sulle primarie tra lui, Cuperlo e Civati, le posizioni su diseguaglianze e povertà, disoccupazione e lavoro, immigrazione e diritti civili non sono poi così distanti. Sicuramente meno distanti di quanto non siano state, negli scorsi decenni, quelle della corrente cattolica del Partito democratico e di quella opposta, Fioroni e D’Alema, tanto per esemplificare.
Per chi lo definisce tale, Matteo Renzi non è di destra per le sue idee, ad esempio liberale contro chi non sarebbe liberale – come la sinistra fino ai primi anni Novanta – oppure a favore di un mercato senza la mano regolatrice dello Stato, visto che, ad esempio, la destra corporativa e lobbista è apparsa in questi anni più statalista che meritocratica.
No, per i suoi critici il segretario del Pd, votato dalla grandissima maggioranza di elettori del Pd, è di destra soprattutto per il suo stile; non per la sua visione politica, ma per la sua antropologia, il suo modo di essere e di comunicare. Proprio come in Destra Sinistra di Gaber, le due categorie ideali e politiche nemiche finiscono per diventare questioni di etichetta o di abbigliamento, modi di porsi e di comunicare. Incomunicabili, come due mondi che non si possano intersecare, contaminare. Ad esempio, sei di destra se la televisione la maneggi a tuo piacere, se ridi di fronte alla telecamera, se non hai la giacchetta di lana, se hai il ciuffo e non gli occhialini. Sei di destra se sei furbo e abile, se vuoi arrivare in alto, prenderti il potere. Sei di destra se sei del partito del fare, se agisci con piglio da leader, senza ascoltare tutte le parti. Sei di destra, insomma, non se sei di destra, ma se assomigli all’ultimo leader di destra. Allo stesso modo, non sei di sinistra non se non sei di sinistra, ma se non assomigli all’ultimo segretario della sinistra. Un cortocircuito logico, come a dire che mio nonno è di destra non perché vota Alfano ma perché ha quel caratterino lì, un po’ predone, spudorato, e ammicca ancora al suo elettorato come alle ragazzine.
Per favore allora: dite che Renzi non va bene come segretario e come leader, che non vi piacciono le sue idee, non condividete le sue posizioni, che non lo votereste mai perché non vi piace come si veste e come si atteggia. Dite quello che vi pare, ma per piacere, non dite che è di destra: non vuol dire nulla. Tra l’altro, oggi che il lavoro dipendente è un pallido ricordo e il ceto medio è sparito, bisognerebbe quanto meno capire cosa significano queste definizioni. O forse smettere di chiederselo, come ha fatto dalla sua nascita il Movimento Cinque Stelle.