Sarà anche per associazione mafiosa, come raramente è successo in Emilia Romagna, il processo che nei prossimi mesi vedrà alla sbarra Nicola Femìa, ritenuto a capo di un’organizzazione che faceva profitti con le slot machine truccate e il gioco d’azzardo web illegale. A deciderlo è stato il giudice per le indagini preliminari di Bologna, Andrea Scarpa, che ha rinviato a giudizio per mafia oltre a Nicola Femìa – detto Rocco, uomo vicino alla ‘ndrangheta – anche altre 13 persone. Esattamente come richiesto dal pubblico ministero Francesco Caleca della direzione distrettuale antimafia di Bologna. Tra i 14 che dovranno rispondere dell’articolo 416 bis del codice penale ci sono anche i due figli di Femìa, Nicolas e Guendalina oltre al genero, Giannalberto Campagna. Altri 12 imputati (in totale davanti al Gup erano 34) sono stati rinviati a giudizio per altri delitti. Soddisfatta la procura di Bologna: “Direi che è andato bene. Il rinvio a giudizio c’è stato per tutti i reati che il pm aveva contestato e questo è un dato acquisito molto importante”, ha commentato a caldo il procuratore capo Roberto Alfonso.
Nell’ambito della grande indagine chiamata Black Monkey ci sono già state anche le prime condanne secondo il rito abbreviato. Il giudice Scarpa ha infatti condannato 5 persone, nel caso più alto a 7 anni e mezzo. In tre di questi casi il pm Francesco Caleca contestava anche in quel caso l’associazione mafiosa, ma la condanna è stata riqualificata in associazione a delinquere semplice, anche se in tre casi è stata mantenuta l’aggravante del metodo mafioso (articolo 7 della legge 203 del 1991). Due sono state le assoluzioni. Inoltre sono già stati riconosciuti risarcimenti alla Regione Emilia-Romagna e al comune di Modena. “È un fatto importante e deve far capire alla Regione che questo è un fronte su cui impegnarsi molto, perché gli enti territoriali subiscono un grave danno. Tra tutte le altre cose che ha da fare, la Regione può convincersi che questo, cioè la costituzione di parte civile, è uno strumento da adottare”, ha detto ancora il procuratore capo Roberto Alfonso, in passato pm alla Procura nazionale antimafia e a un passo dal diventarne capo l’estate del 2013.
Al processo saranno parti civili anche l’associazione Libera di Don Luigi Ciotti e Giovanni Tizian, il cronista sotto protezione dopo le intercettazioni, in cui Femìa parlava di lui con un altro degli imputati. Quest’ultimo si era detto deciso “a sparargli in bocca” se non avesse smesso di scrivere del business delle slot machine. “È importante esserci come parte civile. Non da solo, ma con l’Ordine dei giornalisti, Libera, le associazioni e gli enti”, ha spiegato Tizian alla notizia delle prime sentenze.
La storia dell’indagine inizia l’11 gennaio 2011, quando un immigrato denuncia di essere stato rapito vicino Imola da tre persone che puntandogli contro una pistola, lo minacciarono di fare intervenire “mafiosi calabresi, per metterlo apposto”. Da qui la scoperta da parte delle fiamme gialle di un sistema che arrivava fino in Gran Bretagna e in Romania, dove erano state aperte delle società che gestivano il gioco online secondo il diritto di quel Paese. Femìa e la sua organizzazione, secondo il pm Caleca, commercializzava macchinette con schede truccate così da celare al Fisco l’ammontare reale delle giocate.