Qualche tempo fa mi è capitata a scuola una situazione inquadrabile come fenomeno di stalking. In un primo liceo, una ragazza, che chiamerò Anita, in maniera invadente aveva proposto la sua amicizia ad una compagna, che chiamerò Gianna, che non l’aveva apprezzata anzi, l’aveva percepita come una minaccia, si era spaventata e aveva cominciato ad evitare Anita. Questa aveva interpretato l’allontanamento di Gianna, come se lei non avesse capito e insisteva con la sua proposta, un po’ di persona, un po’ tramite sms. Gianna si spaventava sempre di più e si teneva ancora di più alla larga. Ancora Anita riteneva di non aver mandato un messaggio chiaro e che Gianna non avesse capito e proseguiva con i suoi messaggi in un crescendo che la mostrava sempre più aggressiva, con l’altra sempre più spaventata che cominciava ad assentarsi da scuola.
La storia viene fuori quando gli insegnanti si rendono conto del disagio di Gianna e finalmente se ne può parlare apertamente. Attraverso una serie di interventi in cui vengo chiamata in causa, le due ragazze arrivano ad un confronto chiaro: quella che per Gianna è stata una persecuzione, per Anita era un tentativo di stimolare in Gianna una risposta definita, visto che si manteneva sempre vaga rispetto alle sue proposte di amicizia e avvicinamento.
Per Gianna si trattava di comprendere e superare la paura delle reazioni di Anita, per Anita si trattava di interpretare i segnali vaghi della compagna come risposte negative e accettare l’eventualità di non essere corrisposta nell’amicizia, anche a causa dei suoi modi molesti.
L’incapacità di Anita di cogliere il punto di vista della compagna e elaborare il messaggio di rifiuto ricevuto, e l’incapacità di Gianna di difendersi e affermare le proprie esigenze sono due facce della stessa medaglia.
Come ho già detto in altre occasioni, in psicologia non si tratta di stabilire chi ha ragione e chi ha torto, ma di fare un’analisi della reciprocità che si costruisce in un’interazione, in questo caso tra molestatore e molestato, analisi che, nell’attribuire un ruolo alla persona molestata, le consente di recuperare almeno in parte una possibilità di controllo della situazione.
Lo stalker adolescente, come quello adulto, è un incompetente relazionale perciò inserirlo in un programma di prevenzione e risocializzazione è un passaggio molto importante ma, come è stato messo in evidenza per altri fenomeni, come il bullismo, è anche e forse più efficace intervenire sulla parte debole del fenomeno, su chi subisce le molestie, sostenendolo, permettendogli di rinforzarsi e di non sentirsi solo di fronte alle molestie, aiutandolo a costruire gli strumenti per affrontare l’altro, rendendolo in grado di inviare messaggi univoci e determinati, che generalmente ridimensionano il raggio di azione e le potenzialità di chi molesta.