Nel vedere la locandina italiana di All Is Lost – Tutto è perduto sorge spontaneo il paragone con In Solitario, il film francese uscito in sala l’anno scorso, diretto da Christophe Offenstein con protagonista (quasi) unico François Cluzet. L’attore universalmente conosciuto per Quasi Amici, qui nei panni di uno skipper di mezza età alle prese con la Vendée Globe, la gara di circumnavigazione del globo, aveva confermato il suo indubbio talento, facendosi carico però, con fatica, del peso di una storia a tratti troppo banale. Una sceneggiatura eccessivamente ordinaria, che ben poco in realtà ha a che fare con la pellicola di J. C. Chandor.
Il cineasta statunitense, nominato all’Oscar nel 2012 per la Miglior Sceneggiatura Originale con Margin Call, ha scritto e diretto questa sua opera seconda, presentando uno script ben lontano dalle consuete 120 pagine. Quando Neal Dobson, co-produttore del progetto, si vide recapitare non più di una trentina di fogli, la prima impressione fu quella di essere nel bel mezzo di uno scherzo, ma così non era, la sceneggiatura era tutta lì. Lunghe e accurate descrizioni, primi piani intensi e l’assenza quasi totale del parlato. Una scelta diversa rispetto a Margin Call, che, ambientato nell’arco di 24 ore presso una banca d’investimento sull’orlo del collasso, era totalmente imperniato sul dialogo.
Un progetto difficile da produrre, fuori dagli schemi del mercato cinematografico americano, per il quale era necessario, se non addirittura vitale, trovare un attore all’altezza del ruolo. Chandor aveva posato gli occhi su Robert Redford già nel 2011, anno in cui aveva presentato la sua opera prima al Sundance Film Festival, di cui il 2 volte Premio Oscar è fondatore. Ambire a un attore di questo livello era complicato, specie con una sceneggiatura fuori dal comune, che sarebbe potuta risultare ostica, ma Redford si ricordava del giovane regista e rimase colpito dal suo nuovo progetto.
Un film coraggioso, differente, eccentrico, che mette in scena un “action movie esistenziale” con protagonista un uomo preda dell’Oceano Indiano e della forza degli elementi. La trama, in effetti, potrebbe essere riassunta in poco più di una riga, un uomo disperso in mare deve sfidare la natura per restare in vita, ma la sfida Chandor l’ha raccolta alla grande, dimostrando il coraggio di un cineasta giovane, pronto a mettersi nuovamente in gioco con una pellicola totalmente diversa rispetto a quella precedente. E così ci ritroviamo di fronte a un Redford impeccabile, che in oltre 100 minuti di film riesce a mantenere alta la tensione, sia in scene statiche, accompagnate da un mare liscio come una tavola, sia in scene di azione, nelle quali, alle prese con la furia della natura, l’attore ha dato prova di una stupefacente prestanza fisica, considerando anche il fatto che ha ampiamente superato la soglia dei 70 anni.
Un ruolo prevalentemente muto, fatto di sguardi ed espressioni, ad eccezione della lettera di addio declamata a inizio film e di un paio di esclamazioni urlate per disperazione nel bel mezzo della tempesta. Non ci sono altri attori, nessun’altra presenza al di fuori del protagonista che riesce comunque a riempire lo schermo con un carisma magnetico, prerogativa esclusiva dei grandi di Hollywood, di quelli che hanno fatto la storia del cinema. Redford, complice anche il regista, costringe lo spettatore a vivere il proprio dramma, senza risparmiare nulla, portando il personaggio ai confini dell’esasperazione e spingendo sé stesso oltre il limite.
È discutibile la scelta dell’Academy che ha voluto escludere dalla corsa per la statuetta sia l’attore che il film, che ritroviamo relegato a un’unica nomination per il Miglior Montaggio Sonoro. Probabilmente questa pellicola è troppo distante dai canoni del business hollywoodiano, non utilizza il linguaggio adatto per concorrere all’Oscar ma questo è solo valore aggiunto e sarà in sala, raggiungendo il favore del pubblico che potrà ottenere la vittoria migliore.
Data italiana di uscita: 6 febbraio 2014