“Il sito inizialmente nasce per interesse personale – racconta uno dei fondatori, Diego Tarì – avevamo constatato che anche per gli aspetti economici e finanziari del calcio, la Rete è una miniera di dati e informazioni, ma non esisteva un contenitore che li sistematizzasse e li rendesse fruibili al grande pubblico. Da qui l’idea della “Biblioteca del Tifoso Bilanciato“. Un luogo dove chi cerca materiale può trovarlo senza alcuna difficoltà, e soprattutto chi legge i post non deve essere necessariamente un esperto di bilanci: “Ci sforziamo sempre di tradurre i ragionamenti complessi in concetti semplici, fruibili e comprensibili da tutti, anche usando tabelle, grafici ed esempi concreti per cercare di farci capire. Inoltre, mettiamo sempre a disposizione le fonti perché il lettore possa andare alla fonte e farsi la ‘sua’ idea sul documento che abbiamo utilizzato per argomentare. Troppo spesso ci vengono propinate informazioni false che diventano verità solo perché ‘era sul giornale’ oppure perché ‘l’hanno detto in tv’”.
Approfondendo questi aspetti del mondo del pallone, diventa sicuramente più semplice comprendere le decisioni che via via vengono prese dalle squadre (in particolare relative al calciomercato, al dibattito sugli stadi). E ci si accorge di come il calcio sia uno specchio fedele del paese Italia: “La nostra nazione, in troppi settori non riesce a sviluppare il concetto di programmazione e ha quindi l’enorme difetto di non prendere decisioni finché non ci si trova sull’orlo del baratro: a quel punto l’unica soluzione è tirare il freno a mano tutto d’un colpo, con le conseguenze del caso. E così, mentre la Bundesliga porta avanti un progetto nato nel 2000, la Premier League pur fra le sue contraddizioni inizia a pensare a come uscire dall’equazione ‘maggiori entrate tv uguale maggiori stipendi ai calciatori’, noi ci siamo cullati per anni sui ‘mecenati’ che alla fine di ogni stagione iniettavano risorse nelle squadre, senza cercare di intraprendere un percorso di progressivo risanamento e diversificazione delle entrate. Con il risultato che è arrivata la crisi, gli stessi ‘mecenati’ avevano meno denaro da spendere ed è entrato in vigore il Fair Play Finanziario, la cui regola fondante è quella dei nostri nonni: ‘Non spendere più di quello che guadagni’”. E così, per molte squadre, non resta che intervenire sui costi, rinunciando a molti giocatori, i cosiddetti top player che migrano verso altri lidi. Eppure sarebbe stato sufficiente rallentare poco per volta per adeguare la velocità alle effettive potenzialità.
Duro il giudizio anche sulla Lega Calcio: “Nell’ultimo biennio – spiega Tarì – sembra chiusa su se stessa, è molto autoreferenziale. Se si osservano gli argomenti di discussione, nel 70 per cento delle convocazioni della Lega di Serie A si parla di diritti Tv, un tema sicuramente importante perché rappresenta il 60/65 per cento delle entrate dei club, ma non può rimanere l’unico”. I problemi del calcio italico però non sono molto dissimili da quelli delle altre Leghe europee: dopo un ventennio in cui il denaro delle televisioni è solo transitato dai conti correnti delle squadre alle tasche di procuratori e calciatori, adesso è il momento di riequilibrare i conti: “Rispetto ad altri mercati la Serie A è meno diversificata in termini di ricavi, ottenendo cifre ancora contenute dal merchandising, dagli stadi, dalle sponsorizzazioni. Però quando esistono delle opportunità, le sprechiamo per interessi di breve periodo. Un esempio pratico è quello della Supercoppa Italiana: premesso che da tifoso trovo folle l’idea che si debba giocare all’estero, nel momento in cui si firma un contratto con la Cina, un potenziale mercato di espansione commerciale, non si possono far ‘balletti’ come avvenuto la scorsa estate perché si scalfisce la credibilità delle due squadre coinvolte, e più in generale di tutta la Serie A. Il motivo? Perché magari una delle due squadre ha un altro torneo in concomitanza. Quindi per difendere un interesse di breve periodo di una squadra, ne abbiamo forse danneggiate altre 19 e, più in generale, la credibilità commerciale della Lega”.