Mercoledì mattina sono arrivata nella sede di Antigone con una collega e ho trovato la porta blindata divelta dal muro e un materasso sul pavimento. Il giorno prima eravamo andati via intorno alle sette di sera. In quel lasso di tempo qualcuno aveva deciso con la prepotenza che quella stanza seminterrata di una trentina di metri quadri non dovesse più ospitare il nostro lavoro. C’era una ragazza incinta seduta su una sedia accanto al materasso e altre quattro o cinque persone, quasi tutte donne, a fare capannello.

Antigone-occupata1Ovviamente non credevamo a quel che vedevamo. “Ve ne dovete andare”, ci hanno detto. “Qui stanotte c’è stata un’occupazione e adesso ci vive lei. È incinta e vive per strada, deve stare qua”. La ragazza aveva dei vestiti ordinati, i capelli ben pettinati, un po’ di matita sotto gli occhi. Dopo un momento di confusione abbiamo cercato di farle ragionare. Abbiamo spiegato la nostra attività, abbiamo raccontato che anche noi cerchiamo di aiutare un sacco di poveracci. Ma non avevano voglia di ragionare. Come ci avvicinavamo alla giovane col pancione per capire la situazione, di cosa pensasse di vivere e come potevamo darle una mano, la stanza si riempiva di uomini materializzatisi dal nulla come per incanto. Abbiamo smesso di farlo. Abbiamo chiesto che ci facessero portare via le nostre cose senza danni.

Sono arrivati altri amici di Antigone e abbiamo improvvisato un trasloco fino a tarda sera. Non potevamo permetterci una rappresaglia: in quei faldoni c’è la vita di migliaia di persone che seguiamo. Ci metteremo in cerca di un’altra sede da poterci permettere con i nostri ben pochi soldi. Certo non ci lasciamo scoraggiare. Crediamo molto nel nostro lavoro, che coinvolge centinaia di persone in tutta Italia e che è allo stesso tempo una proposta culturale, una tutela effettiva di categorie svantaggiate, una battaglia politica.

Ma non è su questo che mi interessa qui riflettere. Nella lunga giornata di mercoledì mi si sono affastellati mille pensieri. Non so quale sia quello giusto. Esco da questa storia con tantissime domande e nessuna risposta. La prima domanda è: se sul serio la stanza dovesse servire per ospitare quella ragazza, è stata davvero un’azione di prepotenza? Non è stata piuttosto un’azione di necessità? Se io dormissi per strada con i miei bambini e non avessi trovato mai nessuno, tanto meno un’istituzione, disposto a darci un tetto, accetterei che un amico sfondasse per me la porta di una stanza utilizzata non per sopravvivere ma per fare altro, pur meritevole? Forse sì. O forse no: dovremmo coalizzarci e chiedere ciò che è giusto – una casa per tutti, ad esempio – non prenderlo con la forza contrapponendoci gli uni agli altri. Ma forse di nuovo sì: finché ci coalizziamo e otteniamo giustizia faccio in tempo a morire con tutta la famiglia.

E ancora: ma sarà mai davvero per la povera ragazza che è stata occupata la nostra sede? Si fa fatica a crederlo. Sembrava proprio una controfigura improbabile che per soldi o per contiguità prestava la sua pancia all’operazione. Ci hanno spiegato i vigili che la procedura da loro più volte constatata è quella che vede donne o bambini posizionati in bella vista a strappar lacrime e poi – calata l’attenzione, cacciato il precedente abitante e liquidata con qualche soldo l’attrice – il racket delle case popolari si rivende a qualche disgraziato la possibilità di vivere sotto quel tetto nonché sotto la sua protezione. Oppure, senza arrivare a una criminalità tanto organizzata, può essersi trattato della prepotenza di alcuni abitanti di quei lotti che ci ospitavano, dai quali più di una volta ci siamo sentiti dire che “quel sottoscala serviva a loro” e che “magari un giorno arrivavamo lì e scoprivamo che era scoppiato un incendio e le nostre carte erano tutte andate a fuoco”.

È stato così? La ragazza e il suo bambino stanotte dormiranno tranquilli a casa loro? Siamo ingenui solo a dubitarlo? Non so. Penso sia probabile. Ma mi tengo le domande e lascio stare le certezze. Se non una: quella della tanta gente che ci vuole bene e che stima il nostro lavoro. Amici, simpatizzanti, associazioni, sindacati, conoscenti che in queste ore ci stanno sommergendo di solidarietà e di offerte di aiuto.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Unioni civili: in nome del Papa Re

next
Articolo Successivo

Giornata della memoria: i disabili e la Shoah ai giorni nostri

next