Un forte boato ha svegliato il centro del Cairo questa mattina alla vigilia del terzo anniversario della rivoluzione che destituì Hosni Mubarak. La prima autobomba è esplosa intorno alle 6 e mezza (5 e mezza ore italiane) al quartier generale della polizia nel pieno centro della Capitale. Un camion carico di esplosivo è stato fatto saltare in aria da un kamikaze e ha sventrato l’ingresso dell’edificio.
Tre ore dopo altri due ordigni artigianali sono esplosi al Cairo, nel distretto di Giza: il primo alla stazione della metropolitana di Behoos e il secondo vicino alle piramidi. Al pomeriggio poi un’altra bomba è scoppiata nel quartiere cairota di Haram, viciano a un teatro portando il bilancio totale delle vittime a 6 morti e circa 80 feriti.
Nella zona della prima esplosione, dove è rimasto gravemente danneggiato anche il Museo di arte islamica, dei piccoli cortei in supporto del generale El Sisi hanno sfilato per tutta la mattinata. “E’ colpa dei Fratelli musulmani”, dice Ahmed che vive nei dintorni del quartier generale della polizia. “Vogliono destabilizzare il Paese perché non sono più i protagonisti della scena politica”. L’opinione di Ahmed è ampiamente diffusa tra gli egiziani ed è l’effetto evidente anche della campagna portata avanti dall’esercito contro il movimento islamico e supportata dal governo egiziano che un mese fa ha definito i Fratelli una organizzazione “terrorista”.
La maggior parte degli egiziani sembra ignorare e non credere alle rivendicazioni da parte del gruppo terroristico Ansar Bayt al Maqdis. Sono loro, infatti, ad aver rivendicato l’attentato odierno di fronte al quartier generale della polizia. Lo stesso gruppo che esattamente un mese fa aveva fatto esplodere il quartier generale della polizia a Mansoura causando 15 morti. Tra gli attentati attribuiti al gruppo ci sono anche l’esplosione avvenuta di fronte all’abitazione del ministro dell’Interno egiziano lo scorso settembre e l’uccisione sempre al Cairo dell’ufficiale dell’esercito Mohammed Mabrouk.
Il gruppo Ansar Bayt al Maqdis nasce subito dopo la rivoluzione in Sinai, nell’inverno del 2011, con attacchi circoscritti nella penisola sino poi ad affinare le sue tecniche e colpire, oggi, il cuore della metropoli egiziana. I video di rivendicazione richiamano lo stile dei gruppi jihadisti iracheni. Sul Long War Journal, David Garnett, ricercatore associato alla Foundation for defense of democracies (Fdd), spiega come Ansar Bayt al Maqdis lo scorso primo dicembre abbia diffuso un video dove le immagini degli attacchi – come quello del 20 novembre scorso in Sinai, dove morirono 20 poliziotti – si alternino a foto dell’ex capo di Al Qaeda iracheno Abu Musab al Zarqawi e del portavoce dello Stato islamico di Iraq e Levante (Isis), Abu Muhammad al ‘Adnani al Shami. Un chiaro segnale, dunque, delle mire internazionali di questo gruppo, richiamato anche nel nome: “Ansar Bayt al Maqdis”, significa, infatti, “sostenitori di Gerusalemme”.
“Invitiamo gli egiziani a non scendere in piazza domani perché c’è il rischio di altri attentati” ribadisce il comunicato con cui l’organizzazione ha rivendicato l’attacco di oggi. Nel frattempo i Fratelli musulmani hanno fermamente condannato l’attentato, smentendo qualsiasi coinvolgimento e hanno comunque deciso di scendere in piazza per protestare contro la loro esclusione voluta dall’attuale governo egiziano. Diversi scontri si sono verificati nelle maggiori città egiziane provocano la morte di otto persone e l’arresto di 111 sostenitori dei Fratelli musulmani tra il Cairo, Alessandria e Beni Sueif.
Al Cairo è stato indetto lo stato di massima allerta da parte di molte ambasciate e all’aeroporto internazionale sono stati rafforzati i controlli. La tensione per domani, 25 gennaio e anniversario della rivoluzione, sale ai massimi livelli ma il governo ha fatto sapere di non voler fare un passo indietro sulle celebrazioni del terzo anniversario. I Fratelli musulmani tramite l’Alleanza islamica hanno invece confermato i 18 giorni di protesta contro il governo già annunciati alcuni giorni fa.