Gennaio è mese di fiere. Per chi lavora nell’abbigliamento è un delirio: Pitti Uomo a Firenze, White a Milano, Bread and Butter e Premium a Berlino. Le fiere, in tutti i settori, sono una grande opportunità di lavoro. Si presentano novità, si respira il futuro, si cercano clienti e fornitori, si incontrano nuovi partner. Per questo sono un termometro di un Paese, della salute della sua economia e della sua variabile principale, la fiducia.
Purtroppo chi quest’anno ha fatto un giro a Pitti Uomo, avrà notato un calo delle presenze impressionante, una moria di aziende, ma, soprattutto, un’allarmante sfiducia diffusa.
A partire da questa analisi possiamo dire che i problemi enormi, di decrescita, concordati preventivi e fallimenti, che stanno investendo il settore dell’abbigliamento, possano essere uno specchio fedele dell’intero mondo della piccola impresa italiana. E che possano essere riassunti in quattro semplici parole: poco credito, troppi crediti. Il tessuto sociale dell’abbigliamento è composto da aziende piccole e piccolissime, studi creativi, laboratori di confezione e di taglio, stampatori, stirerie, piccoli magazzini, per poi arrivare all’ultima parte della catena, piccoli negozi indipendenti.
Lo stesso schema può essere replicato per il calzaturiero e molti altri settori della manifattura. Aziende di cinque, dieci, quasi mai quindici dipendenti. Aziende da sempre ignorate dai sindacati, in cui l’articolo 18 non interessa a nessuno, non ci si arriva come numeri. Aziende dove i dipendenti lavorano al fianco dell’imprenditore, fanno straordinari e si spaccano la schiena insieme, soffrono e gioiscono, passano anni e parti di vita insieme.
Questo è il tessuto che ha fatto grande l’Italia, questo è il Paese che si sta sgretolando, mentre la politica lo guarda con finto interesse, senza muovere un dito. Quando verrà presa coscienza che se non si interviene su queste realtà non si avranno mai effetti sull’occupazione e sul lavoro?
E’ fondamentale oggi che governanti e banchieri capiscano che il credito deve uscire dalle casse delle banche e deve essere concesso in primis alle realtà produttive, che non hanno relazioni da spendere, ma che necessitano di fiducia e sostegno. Le banche fanno il loro lavoro di aziende private, non regalano nulla a nessuno.
Ma proprio per questo io sogno e pretendo una politica capace di agire e che sappia dire la propria in modo da indirizzare il credito laddove serve. Una politica che voglia e riesca a intervenire per salvare il lavoro e salvare i sogni degli imprenditori, dei loro dipendenti e di decine di migliaia di nuclei familiari. Una classe politica che prenda coscienza di qualcosa di prioritario, di cui nessun politico e quasi nessun giornale parla mai, che dovrebbe essere al centro della riforma della giustizia civile: la tutela del credito. Se ottieni un credito in Italia, potresti essere considerato un perdente.
Nel settore dell’abbigliamento è diventata una prassi devastante. Crei, raccogli ordini, produci, spedisci, aspetti che il tuo credito maturi. Verso uno, dieci, cento clienti. Per diventare poi chiamate su chiamate, decreti ingiuntivi, denunce per truffa: credito irrecuperabile. Tanti, troppi e il tempo passa. Si accumulano, e diventano debiti. E lo Stato ti costringe a versarci gli acconti per la fiscalità dell’anno successivo, ad anticiparne l’Iva e poi a rivolgerti a un legale per poter portare il credito a perdita. Cornuti e mazziati, troppe volte.
Conosco, purtroppo, aziende solide e meritevoli, saltate per aria per problemi del genere. Non per debiti, per crediti. Perché lo Stato non c’è, perché la legge per la piccola impresa è vessatoria, non aiuta in alcun modo, non tutela.
E le fiere non fanno più sognare ma diventano così sfogatoi, la creatività si deve riciclare in altro, il sapere artigianale italiano si spegne dietro alle serrande chiuse dei distretti svuotati. La globalizzazione non è più un problema, ma una straordinaria opportunità, la delocalizzazione degli anni ’90 ora offre mercati enormi per il made in Italy. Ma chi ancora non ha quote di export sufficienti, troppe volte trova le porte delle banche chiuse, e quelle degli avvocati che devono assisterle nel recupero del credito aperte ma inutilmente. Poco credito, troppi crediti, e la politica finora ha guardato senza intervenire.