“La Corte di Cassazione nel respingere la richiesta di rimessione di quei procedimenti ad altro distretto, ha preso una storica decisione“. Questo il parere del presidente della Corte d’appello di Milano Giovanni Canzio all’inaugurazione dell’anno giudiziario (in corso in tutta Italia) riferendosi alla richiesta di Silvio Berlusconi di trasferire i suoi processi. Prima a Monza, poi al tribunale dei Ministri, infine a Brescia con istanza di “legittimo sospetto” presentata dagli avvocati Ghedini e Longo contro il Tribunale di Milano. Polemica vecchia e mai risolta, quella del leader di Forza Italia nei confronti della magistratura.
Proprio ieri, con una nota, era tornato sul tema: “Quando un giorno la mia innocenza sarà pienamente riconosciuta, grazie a quei giudici coscienziosi e privi di animosità politica che io spero sempre di trovare, gli italiani potranno comprendere appieno la vera e propria barbarie giudiziaria in cui l’Italia è precipitata. Una degenerazione dei principali capisaldi del diritto che ha riservato a me e alle persone che mi stimano e mi vogliono bene un’umiliazione e soprattutto un dolore difficilmente immaginabili da parte di chi non vive l’incubo di accuse tanto ingiuste quanto infondate”. Il presidente Canzio ha ricordato come i giudici milanesi siano alle volte “stati oggetto di sommarie e ingiuste accuse di parzialità e di mancata serenità di giudizio, solo perché funzionalmente investiti della definizione di taluni procedimenti a forte sovraesposizione mediatica, per lo spiccato rilievo politico e sociale che li caratterizzava” tra cui proprio i processi a carico di Berlusconi, a cui si è recentemente aggiunto un nuovo filone (Ruby ter).
Palermo, il presidente della Corte d’Appello: “Mai sospetti su Napolitano”
Alta tensione a Palermo, dove l’argomento principale della relazione del nuovo anno giudiziario è Giorgio Napolitano e il processo in corso sulla Trattativa. Se da un lato il presidente della Repubblica era riuscito a far distruggere le intercettazioni a suo carico, dall’altra era stato convocato come teste nel processo. “Abbiamo un debito di riconoscenza nei confronti del Capo dello Stato, per cui quando si è tentato di offuscare la sua immagine con il sospetto di sue interferenze in un grave procedimento in corso qui a Palermo, sospetti che i nostri giudici hanno dichiarato da subito totalmente infondati, sentiamo di dovergli rinnovare l’impegno, assunto col giuramento all’inizio del nostro lavoro, di fedeltà alla legge e alla Costituzione, di cui egli è supremo garante”, ha detto il presidente della Corte d’appello di Palermo, Vincenzo Oliveri. Riferimenti diretti alle intercettazioni delle chiamate tra Giorgio Napolitano e l’ex ministro Nicola Mancino, acquisite nell’inchiesta sulla Trattativa e poi distrutte. Sempre parlando di Napolitano, Oliveri ha ricordato “il sostegno morale che egli ha sempre dato alla magistratura quando, in tempi che purtroppo non sembrano ancora finiti, siamo stati destinatari di gravi quanto risibili accuse, ma anche per la fermezza con cui altrettanto spesso ci ha richiamati a un costume ispirato a sobrietà ed a riservatezza, invitandoci ad astenerci da condotte che possono incidere sull’immagine di terzietà che deve assistere ciascun magistrato”. Poi un riferimento diretto a Cosa nostra: “La mafia continua a esercitare il suo diffuso, penetrante e violento controllo sulle attività economiche, sociali e politiche nel territorio, anche se il dato statistico rivela un’attenuazione del fenomeno criminale (84 procedimenti nel 2012 e 71 nel 2013). Accanto al pizzo e ai consueti metodi di approvvigionamento economica, la mafia si è spostata “verso l’interessamento nei settori delle energie rinnovabili e dello smaltimento dei rifiuti, con rinnovato interesse e un notevole incremento del traffico di sostanze stupefacenti”. Poi il procuratore di Palermo, Francesco Messineo: “L’anno giudiziario si innesta quest’anno in un particolare clima dovuto alle minacce di Totò Riina e le altre minacce nei confronti di altri magistrati”. Sul tema è intervenuto anche il presidente del Senato Pietro Grasso, a margine della cerimonia: “Sono qui per esprimere la mia solidarietà e la mia vicinanza ai magistrati palermitani che continuano a trovarsi nel cono d’ombra delle minacce e delle intimidazioni mafiose”.
Torino, procuratore generale: “Terrorismo anarchico minaccia il Paese”
Esiste “un’area marginale ma non trascurabile di soggetti anarchici che, operando su un doppio livello, palese e occulto, costituiscono una minaccia per le regole costituzionali del Paese puntando, attraverso atti di terrorismo, all’eversione del sistema democratico”. Così Marcello Maddalena, procuratore generale del Piemonte, in un documento citato in occasione dell’anno giudiziario. Mentre Mario Barbuto, presidente della Corte d’Appello, parla dei ricorsi per le elezioni regionali: è colpa di un “bizantinismo sofisticato” delle norme se la partita dei ricorsi è durata tanto a lungo.
Roma, presidente corte d’Appello: “Mafie attratte dalla Capitale”
Le organizzazioni criminali di stampo mafioso, soprattutto ‘Ndrangheta e Camorra, che operano nel Lazio, specie a Roma, trovano nella Capitale “una sicura attrattiva” in quanto “dopo la Banda della Magliana nessuna aggregazione criminale è riuscita ad assumere un atteggiamento egemone sulle altre. Ciò comporta che la mafia non ha alcuna necessità di contendere i comparti economico-imprenditoriali”. Lo ha affermato il presidente facenti funzioni della Corte di Appello di Roma Catello Pandolfi inaugurando l’anno giudiziario.
Napoli, protesta degli avvocati: in aula con le mani legate
Mani legate e una fascia tricolore sulle toghe con la scritta “In difesa dei diritti”. Così gli avvocati del Consiglio dell’Ordine di Napoli si sono presentati alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario a Castel Capuano in segno di protesta per le mancate riforme della giustizia. La protesta prima dell’inizio della relazione del presidente della Corte di Appello, Antonio Buonajuto.
Genova, procuratore generale: G8, nuovo procedimento disciplinare
“Un nuovo procedimento disciplinare”a carico di quei poliziotti che, essendo stati condannati in via definitiva per le violenze nella caserma di Bolzaneto, a Genova, durante il G8 del luglio 2001 “non hanno perso il posto di lavoro”. Lo ha annunciato il Procuratore generale della Corte d’appello di Genova, Vito Monetti, durante il suo intervento alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario. “All’esito del processo penale – ha detto ancora Monetti – il mio ufficio ha aperto un procedimento per l’applicazione delle sanzioni disciplinari nei confronti di coloro che risultavano essere ancora in servizio come dipendenti della Polizia. La stampa nazionale ha riferito che si sarebbero conclusi nella competente sede ministeriale i procedimenti disciplinari e essendo stata ritenuta la natura colposa delle condotte sono state applicate sanzioni che non hanno implicato la perdita dell’impiego. Di conseguenza – ha ribadito il procuratore generale – il procedimento iniziato dal mio ufficio dovrà avere nuovo impulso”.