Li chiamano “hotel ma-ma” in Austria, in Germania sono i “nesthocker” (alla lettera: uccellini nel nido), in Giappone vengono denominati “single parassiti”, mentre in Francia si parla addirittura di “fenomeno Tanguy” – dal nome di un fortunato film del 2001 in cui un 30 enne non ne voleva sapere di lasciare la casa dei genitori. Quelli che un tempo erano i “mammoni” e che il ministro Padoa-Schioppa ribattezzò “bamboccioni”, cambiano nome a seconda della latitudine, ma sono ormai una realtà in gran parte del mondo industrializzato, Europa per prima. E crescono di numero.
Complice un’economia a picco ormai da un lustro, la difficoltà di trovare lavoro e conseguentemente di accedere al mutuo per comprare casa insieme ad affitti sempre più cari, anche il dinamico Regno Unito si accorge che qualcosa è cambiato. L’istituto britannico di statistica ha pubblicato dei dati choc, stimando come 3,3 milioni, ovvero un quarto di tutti giovani adulti (la fascia tra 20 e 34 anni) nel 2013 vive a casa coi genitori. Il numero è salito di circa un quarto (669.000 persone) dal 1996. Quali le cause dell’imbamboccionimento? Non certo ragioni culturali o di scelta personale. Dallo studio emerge chiaramente la correlazione tra scarsa mobilità giovanile e crisi economica. Dopo una flessione fino al minimo di 2,4 milioni nel decennio seguente al 1996 – quando i livelli occupazionali erano alti – dal 2008 l’impennata del numero dei ragazzi che non vanno via o che tornano a casa dei genitori è stata costante.
In tutto questo sono molto più gli uomini che le donne a restare – come accade in altri Paesi – ma bisogna anche ricordare come a nord dell’Italia il concetto di giovane è socialmente diverso: un inglese, come anche un tedesco o uno svedese, spesso è fuori casa dai 18 anni in poi. O almeno, così è stato fino a oggi. Motivo per cui i dati appena sfornati a Londra mostrano una realtà inaspettata e in piena evoluzione. Va detto che se tutta l’Europa piange, persino negli Usa il fenomeno è in crescita costante e si è accentuato in concomitanza con la crisi economica. Circa un anno fa i giovani della boomerang generation (ovvero, quelli che ti ritornano a casa) raggiungevano un rispettabile 36 %. Con l’aggravante che negli Usa il fenomeno è accompagnato da un fortissimo biasimo sociale e chi è costretto a coabitare con la famiglia viene non di rado bollato come “fallito”. Ma al di là di tutti i paragoni possibili, persino con Grecia, Spagna e altri Paesi del sud Europa, il caso italiano rimane il più pesante. Dal rapporto Coldiretti/Censis del 2012 emerge come oltre il 60% nella fascia 18-34 anni vive con i genitori, circa un terzo degli italiani – a tutte le età – abita con la madre e più o meno il 42 % trova casa a massimo mezz’ora dalla mamma.
Fenomeno completamente negativo? Non secondo Craig Willy, giornalista e osservatore di tendenze europee. “Il trend può essere visto come un colpo all’individualismo prevalente del mondo globalizzato”, scrive riferendosi a elementi come divorzio e bassa natalità che hanno sgretolato la famiglia tradizionale. I giovani adulti, oggi, secondo Willy, vanno verso “un parziale ritorno alle forme di solidarietà pre-moderna”, nonché un modo di “gestire le conseguenze sociali” in una società dove il lavoro non c’è più. Questione di punti di vista. Magari gli inglesi e i francesi si ridimensionano, questo è positivo. Chi glielo spiega però a Willy che di salti nel passato gli italiani non sentono proprio il bisogno?
Il Fatto Quotidiano, 24 gennaio 2014