E’ accaduto ancora. Una adolescente, che chiamerò Anna, viene filmata in pose sexy dal fidanzato. La relazione finisce e l’ex, forse per vendetta o forse per uno scherzo crudele, mette il video su Facebook. La ragazza viene esposta ad una impietosa gogna: ingiurie di carattere sessista e misogino, violenze verbali, volgarità. Si moltiplicano pagine amministrate da estranei che pubblicano le sue foto e la presentano come una esibizionista in cerca di notorietà. L’accanimento della canea sessista che si scatena sul social network nei confronti di questa giovane lascia sgomenti. Vi partecipano coetanei ma anche adulti. Per il linciaggio è sufficiente un clik! Un invio sulla tastiera, una pressione sul touchscreen e gli insulti volano on line; postati senza scrupoli, come se ogni singola ingiuria divenisse meno grave perché ingoiata dalla coralità delle centinaia o migliaia di commenti. Le offese sono pietre e feriscono come pietre, soprattutto se in quel tritacarne ci finiscono adolescenti.
Nel mondo le vittime di cyberbullismo sono soprattutto ragazze o giovani omosessuali e alcuni hanno trovato nel suicidio l’unico modo di sottrarsi al linciaggio. Lo scorso anno, in Italia, cinque ragazzi si sono tolti la vita per essere stati oggetto di scherno su social network, offesi da coetanei con volgarità omofobe, sessiste o misogine. Episodi gravi che si riepetono ogni giorno e che reclamano una riflessione sulla concezione che gli adolescenti e le adolescenti hanno dei rapporti e delle relazioni umane e affettive e sul rigurgito di pregiudizi sessisti che credevamo superati.
Troppe volte è accaduto che immagini intime o informazioni private di ex, o di amici, siano stati messi on line per soddisfare rancori, lenire le frustrazioni. E molte adolescenti adoperano il web senza consapevolezza, pubblicando foto intime alla ricerca di visibilità.
C’è molto da fare nelle scuole, c’è molto da fare come genitori per educare alla gestione di un mezzo potente come il web. Lo scorso anno in Senato è stato approvato un progetto per le scuole per educare all’uso dei social network. Ma non è abbastanza. Occorrono leggi che definiscano mezzi efficaci e tempestivi per rimuovere contenuti lesivi della dignità delle persone. E alcuni progetti di legge sono in via di definizione. Ma è necessario far presto.
Il cyberbullismo che ha colpito Anna era stato segnalato da molti utenti a Facebook. Dopo diversi mesi, il social network ha cancellato i contenuti volgari e ingiuriosi. Ma dopo qualche giorno li ha rimessi on line. La spiegazione? Non è contraria alla “policy” .
E’ indubbio che sia necessario un filtro efficace a disposizione degli utenti. Ma forse i filtri, e le policy da soli non bastano a tutelare dignità e privacy di chi frequenta i social network o naviga su internet. Forse dobbiamo recuperare ben altri “filtri” come la dimensione della riservatezza per celare la nostra intimità allo sguardo di estranei. Per secoli le culture di diversi Paesi e tradizioni hanno riconosciuto il valore del velo come confine tra familiarità e alterità. L’atto di velare e velarsi ha avuto anche un valore simbolico. Separava il confine tra ciò che era sacro e ciò che era profano. Oggi con le nuove tecnologie prima con la telecamera impietosa della tv e poi con il web, esigiamo che tutto sia visibile, che tutto sia mostrato, che nulla sia più sacro, misterioso o intangibile. Vogliamo guardare ed essere guardati. Ma sulla rete le nostre immagini esposte ci rendono paradossalmente invisibili proprio come esseri umani.
Per questo diventa così facile fare violenza e fare del male.