Un post sugli Italiani all’estero apparso sul blog del Fatto Quotidiano prende in giro i cosiddetti “cervelli” in fuga dalla madre patria. Non mi sono riconosciuta in questo gruppo, perciò ho deciso di raccontare la mia storia: quella di un’italiana a Londra che studia, lavora (fino all’esaurimento) e che, sfortunatamente, all’estero pensa proprio di rimanerci.

Mi sono trasferita a Londra per frequentare il corso di giornalismo alla City University nel Settembre 2011. Studiare a Londra è sempre stato il mio sogno e, paradossalmente, prima che David Cameron alzasse le tasse universitarie inglesi una buona scuola di giornalismo italiana costava più che Inghilterra tre anni fa.  

Non me ne sono andata per instagrammare foto con la scritta “Mind the gap”, ma perché sentivo che l’Italia non mi offriva niente. Londra invece mi ha offerto tanto: dopo tre anni di gavetta, ho ricevuto tre offerte di lavoro (pagato) contemporaneamente. Ho potuto scegliere la migliore fra le tre, il ruolo di addetta ai Social Media per un’agenzia di “cacciatori di teste” tra giovani laureati.

In tutti i casi sono state le persone che volevano assumermi a contattarmi, non il contrario. E in Italia? Beh, in Italia tutte le volte che ho fatto domanda per stage (non pagati) o per inviare qualche articolo ai giornali locali ho ricevuto risposte negative.

Secondo l’Evening Standard sono una slashie: una studentessa/impiegata part-time/blogger/aspirante scrittrice/stakanovista. A chi dice che a Londra faccio la bella vita rispondo che esco ogni weekend perché lavoro 10 ore a settimana per guadagnarmelo.

Londra non è la patria delle carinerie come tutti pensano. Anche se mio inglese è molto buono, fino all’anno scorso i professori continuavano a farmi pesare che non fosse la mia lingua madre. Molte volte l’educazione è solo una facciata e le persone sono più diffidenti e riservate.

Non passa una settimana senza sentire qualche luogo comune sul nostro paese, un “joke” (uno scherzo) agli occhi degli stranieri per aver votato Berlusconi per tutti questi anni. Gli ignoranti pensano che tutte le ragazze facciano bunga bunga con gli ottantenni. Capita piuttosto spesso quindi che le avances che ricevi da certi uomini rasentino la molestia.

Contrariamente a quello che scrive il signor Cavezzali, non penso di aver mai fregato nessuno. Anzi, sono diventata talmente inglese che se qualcuno a cena con me fa cenno al cameriere al ristorante mi vergogno, perché qui è maleducazione non aspettare che siano loro a venire da te.

Sono la prima ad evitare gli italiani ignoranti. Ma quelli esistono proprio come gli inglesi tamarri in stile The Only Way Is Essex, the “show us ya tits love” kind of guys. E io scappo a gambe levate da entrambi.

Sono fiera di essere italiana e di essere sarda, ma divido un appartamento con una ragazza norvegese ed una austriaca. Le mie migliori amiche sono di Cipro e di Strasburgo.  

Se l’intento di Cavezzali era suscitare polemiche, c’è riuscito. A me invece le polemiche non piacciono. Non ho rinnegato il mio paese e spero, un giorno, di poterci tornare.

Molte volte passo per pomposa egocentrica quando cito ciò che ho imparato al liceo classico. Non dimentico la politica italiana, anche se a volte mi nausea: mi sono iscritta all’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero) e ho votato da Londra alle disastrose elezioni dell’anno scorso. Mi vesto ancora all’italiana, anche se forse mi preoccupo un po’ di meno dell’apparenza – dopo le uscite del venerdì sera non mi stupisce più niente.

Ogni sabato mi cucino le lasagne e le mie amiche amano il mio risotto ai funghi. Alla cena di Capodanno (passato qui a Londra) ho portato il pandoro. E per sua informazione, Cavezzali, la pizza di Franco Manca a Brixton sta iniziando a competere con la mia pizzeria napoletana preferita ad Olbia in quanto a qualità.

di Carolina Are, Creatrice del blog (London’s Calling – Londra Chiama), Social Media Assistant per Futureboard Consulting, studentessa di Giornalismo alla City University  

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