A Milano c’è un rebus che si chiama Cerba. L’acronimo significa Centro Europeo di Ricerca Biomedica Avanzata. È un’idea che il professor Umberto Veronesi cerca di realizzare da almeno 15 anni: far sorgere un istituto scientifico di livello mondiale accanto allo Ieo, il suo Istituto Europeo d’Oncologia. “Il Cerba è uno dei più grandi progetti di questo inizio secolo”, scandisce Veronesi, “è un’opera di scienza, di civiltà, di avanzamento culturale”. Ma attenzione: il Cerba è anche (o soprattutto?) un grande affare da 1,2 miliardi di euro, 620 mila metri quadrati di edifici, residenze, spazi commerciali da far sorgere nel bel mezzo del Parco Sud, un’area vincolata a verde dove non si dovrebbe costruire neanche una cuccia di cane.

Il Giano Bifronte
Chi costruisce a sue spese il centro scientifico, vuole in cambio guadagnarci edificando tutto il resto. Il Cerba, dunque, è un Giano Bifronte: da una parte è una grande idea scientifica che onora Milano; dall’altra è il nome di una grande operazione immobiliare che usa il centro di ricerca come cavallo di Troia per piazzare l’ennesima dose di cemento ai bordi della città. A questo peccato originale, si è ora aggiunto il fallimento di Salvatore Ligresti, che era il proprietario delle aree su cui il Cerba era stato progettato. Risultato: una guerra senza quartiere, con scontri ferocissimi e una quantità di protagonisti eccellenti coinvolti nella partita. Il professor Veronesi, naturalmente, padre del progetto, ma anche il sindaco di Milano Giuliano Pisapia e l’assessore all’urbanistica del Comune Ada Lucia De Cesaris, che l’hanno (per ora) bloccato. E poi i politici che tifano (quasi tutti) per l’operazione, come pure i curatori fallimentari e i dirigenti delle banche creditrici di Ligresti. Convitato di pietra, il magistrato della procura di Milano Luigi Orsi, che sta indagando su Ligresti e i suoi alleati, visibili e invisibili.

Il partito trasversale
Per capire la guerra di oggi bisogna tornare al 2009, quando il Cerba di papà Veronesi viene tenuto a battesimo da un accordo di programma Comune-Provincia-Regione firmato da Letizia Moratti, Filippo Penati e Roberto Formigoni. Larghe intese ante litteram. Ponti d’oro, allo splendido progetto: ha dentro anche abitazioni e spazi commerciali, ma viene considerato “nel suo complesso” opera di urbanizzazione, quindi esente dal “contributo di costruzione” da versare al Comune. Solo un forfait di 90 milioni di euro, di cui 18 per compensare il Parco Sud del verde rubato. Nel 2013 scadono i termini per firmare la convenzione. Ma intanto, nel 2012, è fallita la Imco, la società di Ligresti che possedeva i terreni. Entra in scena la Visconti srl, una società espressione delle banche creditrici di Ligresti (innanzitutto Unicredit) che, accollandosi i debiti, cerca di recuperare gli asset del gruppo fallito. Il Cerba è un ottimo asset, ma la Visconti chiede tempo per firmare e pretende condizioni più favorevoli (per esempio una riduzione da 90 a 35 milioni degli oneri da pagare al Comune). Le pressioni su Pisapia e De Cesaris sono poderose. Scende in campo il partito trasversale del Cerba: a destra si muovono il vicepresidente della Regione Lombardia e assessore alla sanità Mario Mantovani, l’ex assessore provinciale Fabio Altitonante, la Sec di Fiorenzo Tagliabue, area Cl; a sinistra, si schierano i sindacati, i socialisti di Roberto Biscardini, i “penatiani” della “banda del Parco Sud” capitanata da Bruna Brembilla.

In campo ci sono anche, naturalmente, la Fondazione Cerba di Veronesi e dell’agguerritissimo avvocato Beppe Torrani, la Visconti che vorrebbe portare a casa qualcosa dei soldi buttati nel gruppo Ligresti e la Hines di Manfredi Catella (considerato il pupillo e il continuatore di don Salvatore) a cui la Visconti ha girato la gestione operativa dell’affare. Hines si muove pesantemente. Addirittura avvicina alcuni collaboratori dell’assessore De Cesaris e fa pressioni al limite del tentativo di corruzione. Tutti vogliono chiudere la partita al più presto: in fondo, anche i curatori fallimentari non vedono l’ora di incassare le loro parcelle milionarie. L’unico che resta fermo è il pm Orsi, che conosce bene la storia di Imco e del Cerba. Sa che proprio quell’area è esattamente l’oggetto del reato per il quale procede. Tutto comincia nei primi anni 2000, quando Imco comincia a indebitarsi comprando pacchi di azioni Bipop Carire, la sua banca d’allora, che poi si “salverà” fondendosi in Unicredit. Nel 2010, i debiti di Imco e di Sinergia (la società che controlla Imco) nei confronti di Unicredit sono pesantissimi. Imco però ha un buon asset: il Cerba, appunto. Lo offre in ipoteca a Unicredit per garantire i debiti di Sinergia, che invece non ha nulla da offrire. Così si svena per salvare la società madre. Erano i tempi in cui al vertice di Unicredit Corporate Banking c’era Piergiorgio Peluso (figlio del ministro Annamaria Cancellieri, amica di famiglia dei Ligresti). Nel 2012 Imco e Sinergia vengono comunque travolte dai debiti e finiscono nelle mani dei curatori fallimentari. L’area Cerba torna a essere giocata come la carta che può far portare a casa qualcosa alle banche creditrici.

Il vicesindaco dice no
Il pm Orsi però non omologa i documenti del fallimento Imco e Sinergia perché ha ancora in corso le indagini e vuole vedere chiaro nelle scelte passate delle società e delle banche che le hanno affiancate. Intanto, la Visconti (cioè le banche) cerca di aprire una trattativa con il Comune e chiede tempo. L’assessore (e vicesindaco) De Cesaris concede sei mesi di recupero (la scadenza era il 30 giugno 2013). Ma poi, il 18 dicembre 2013, prende atto che il tempo è largamente scaduto e fischia il fine partita. Apriti cielo: Veronesi la insulta pubblicamente, la politica (quasi al completo) piange la perdita di un così meraviglioso progetto, la potente lobby del Cerba inizia le grandi manovre per recuperare in corner. Proposte sul tappeto: alleggerire il cemento dell’operazione, riducendo le volumetrie, da costruire comunque fuori dal Parco Sud (tranne il centro di ricerca vero e proprio, da edificare a fianco dello Ieo); ed escludere dalla partita Catella, considerato troppo “in continuità” con la gestione Ligresti. La guerra continua.

Da Il Fatto Quotidiano del 19 gennaio 2014

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