Plaintiffs contend that the 1-billion-barrel estimate was chosen arbitrarily, and that the bureau did not provide adequate explanation for its selection. We agree.

L’accusa afferma che le stime di un miliardo di barili di petrolio sono state scelte a casaccio e che l’ufficio governativo non ha provveduto a fornire adeguate spiegazioni per la sua scelta. Noi siamo d’accordo.

(Ninth Circuit court of Appeals nel revocare il rilascio di concessioni petrolifere in Alaska)

Today’s ruling is a victory for the Arctic Ocean. The government has no business offering oil companies leases in the Chukchi Sea.

La decisione di oggi è una vittoria per l’Artico. Il governo non ha nessun diritto di offrire concessioni petroliere nel Chukchi Sea. 

(Earthjustice nel commentare la notizia).

Altre brutte notizie per la Shell.

Nel 2008 il Dipartimento dell’Interno dell’amministrazione di George W. Bush aprì la vendita di concessioni petrolifere nel Chukchi Sea dell’Alaska a varie ditte petrolifere per un totale di 120mila chilometri quadrati secondo la Lease Sale 193. Di queste concessioni solo 8mila furono “comprate” per un totale di 2,6 miliardi di dollari di incasso.

Delle ditte acquirenti, la principale era la Shell che ha speso finora, a parte il costo delle concessioni, circa 5 miliardi di dollari per cercare di trivellare l’area.

Sfortunatamente per la Shell però, il giorno 22 gennaio 2014, la Ninth Circuit Court of Appeals ha decretato che il governo ha agito in modo incostituzionale nel rilasciare queste nuove concessioni, a causa della elevata sensibilità ambientale dei mari dell’Alaska e causa della mancanza di informazioni scientifiche e della poca trasparenza del dipartimento stesso nell’illustrare i progetti e le conseguenze delle trivelle nel Chukchi Sea.

Secondo la Corte, le stime di circa un miliardo di barili di petrolio offerte dal Dipartimento dell’Interno sono state “arbitrarily chosen“, cioè  “scelte a casaccio”, e la decisione di offrire concessioni è basata su informazioni inadeguate sul quantitativo petrolifero recuperabile dall’Alaska.

Ancora, secondo la corte il Dipartimento dell’Interno ha presentato “only the best case scenario for environmental harm, assuming oil development. This analysis skews the data toward fewer environmental impacts, and thus impedes a full and fair discussion of the potential effects of the project.”

“solo la migliore possibile ipotesi per danno ambientale, assumendo che ci fosse sfruttamento petrolifero. Questa analisi distorce i dati verso minori impatti ambientali e quindi impedisce una piena e corretta discussione dei potenziali effetti del progetto.”

La causa è stata promossa da quindici gruppi indigeni dell’Alaska e altri gruppi ambientalisti, fra cui The Native Village of Point Hope, Inupiat Community of the Arctic Slope, Alaska Wilderness League, Center for Biological Diversity, Defenders of Wildlife, National Audubon Society, Natural Resources Defense Council, Northern Alaska Environmental Center, Oceana, Earthjustice, Pacific Environment, Resisting Environmental Destruction on Indigenous Lands (REDOIL), Sierra Club, The Wilderness Society, e The World Wildlife Fund. Questi piccoli Golia sono riusciti a spuntarla contro la potente macchina del governo federale Usa e della Shell che li aveva appoggiati per difendere i suoi interessi.

Gustavo Ampugnani, il responsabile Greenpeace contro le trivelle in Artico commenta con un monito ad Obama:

This decision should give President Obama pause to reconsider the dangerous path he’s heading down by opening up the precious Arctic to rapacious oil giants. If he wants to live up to his inspiring words on tackling climate change and protecting America’s stunning natural environment for future generations, he should put an end to this dangerous oil rush to the ends of the earth.

“Questa decisione dovrebbe dare al Presidente Obama una pausa nel riconsiderare la pericolosa strada che ha intrapreso nell’aprire il prezioso Artico ai rapaci giganti del petrolio. Se vuole tenere fede alle sue parole di ispirazione nell’affrontare i cambiamenti climatici e proteggere il meraviglioso ambiente naturale d’America per le generazioni future, dovrebbe mettere fine a questa corsa affannata e pericolosa ai confini della terra.”

E da noi?

Da noi, dopo la lottizzazione dell’Adriatico italiano si prospetta la vendita di nuove licenze petrolifere nell’Adriatico croato dove la Spectrum ha appena confermato che la Croazia ha tutti gli ingredienti per il “successo”: riserve petrolifere, acque basse, infrastruttura già esistente e mercati affamati.

Qui mappe e link sulle trivelle di Croazia.

Evviva.

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