La verità, in fondo, sta sempre nel teatro. Dopo tanti interventi, esternazioni, ire funeste riversate nell’agone politico, Dario Fo torna a calcare le scene teatrali con “Lu Santu Jullare Francesco”, in prima nazionale al Teatro Duse di Bologna dal 10 al 12 febbraio 2014. Il felice ritorno alla giullarata per l’89enne originario di Sangiano avviene a sei mesi dalla scomparsa della moglie Franca Rame e da circa due anni dopo il suo, anzi il loro, Mistero Buffo che aveva fatto tappa in Emilia Romagna sia a Modena che al Teatro delle Celebrazioni di Bologna.
Il memorabile lavoro sulla vita di San Francesco d’Assisi, che ha debuttato 15 anni fa, poco prima della vittoria del Nobel per la Letteratura, viene riscritto oggi per un nuovo allestimento in cui se ne rimodula la figura storica in un ritratto inedito che mescola l’innovazione all’interno del pensiero cristiano e i grandi temi che attraversano la società contemporanea. In “Lu Santu Jullare Francesco” prendono vita personaggi dell’Italia medievale: dai contadini ai cardinali e addirittura ai papi. La realtà storica e la tradizione popolare, un po’ come nella felice canzone “Ho visto un re” appena reinterpretata in una versione tv con Mika, si intrecciano nel ripercorrere alcuni dei momenti più significativi della vita del santo umbro: la richiesta di approvazione della Regola al Papa Innocenzo III, la predica agli uccelli, la malattia agli occhi.
Lavorando su leggende popolari, su testi canonici del Trecento e su documenti emersi negli ultimi tre secoli Dario Fo elabora un’immagine non agiografica di San Francesco: spogliato dal mito, ritroviamo un personaggio provocatorio, coerente, coraggioso, ironico. Del resto era lo stesso Francesco a definirsi “jullare al servizio di Dio”, e questo proprio negli anni in cui l’imperatore Federico II promulgava un editto contro i “Joculatores obloquentes” considerandoli buffoni osceni. Un eretico di fatto, la cui storia è tornata alla ribalta ai giorni nostri con la salita al soglio di Pietro del nuovo pontefice, e qui riproposta in una versione inedita in volgare umbro medievale.
“Della giullarata Francesco conosceva la tecnica, il mestiere e le regole assolute”, ha spiegato Fo, “Non teneva mai prediche secondo la convenzione ecclesiastica, anzi, rifiutava l’andamento del sermone. Sappiamo pure che cantava, recitava e “di tutto lo suo corpo fasea parola” come testimonia un cronista del suo tempo; nei suoi sermoni suscitava divertimento ma anche commozione fra i presenti che lo ascoltavano”. La prima nazionale a Bologna sembra oltretutto non essere stata scelta a caso: “Sappiamo che il 15 agosto 1222 Francesco si trovava a Bologna dove era stato invitato a tenere un’orazione sul tema che stava più a cuore in quel momento ai bolognesi: la guerra, che di nuovo era esplosa contro gli Imolesi, loro nemici atavici – spiegò Fo alcuni anni fa – e per stigmatizzare l’inutile e sanguinario conflitto poteva scegliere due linguaggi: un’omelia in latino e sarebbe stato compreso da una piccola percentuale di ascoltatori, o una Concione Giullaresca in volgare. Ma il volgare di Francesco era l’umbro, ben diverso dal bolognese, quindi, per quella moltitudine di lombardo-romagnoli, incomprensibile. Ma abbiamo detto che Francesco era un giullare e per di più dotato di una comunicativa davvero eccezionale! Come ci riusciva? Grazie appunto al particolare linguaggio dei giullari, un linguaggio fatto di termini pescati qua e là in tutti i dialetti, con iterazioni continue, termini latini, spagnoli, provenzali e perfino napoletani e siciliani”.
“Purtroppo non ci è pervenuta nessuna testimonianza trascritta del linguaggio impiegato da Francesco. Ad ogni buon conto, io, con una incoscienza che non ha eguali – concluse – mi sono provato a ricostruire la concione di Bologna: ho immaginato il linguaggio mettendo insieme una specie di grammelot italico medievale, poi sono andato a leggere le cronache dei fatti accaduti a Bologna e dintorni nei primi vent’anni del ‘200, compresi alcuni famosi serventesi di Romagna, quindi ho impostato la sequenza narrativa giocando sulla classica provocazione a roverso dei giullari di cui spero io riesca a farvi scoprire l’efficacia”.
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