La parola stabilità in finanza non esiste. La ripresa, ancora solo apparente, delle economie occidentali viene interpretata come il segnale di un cambiamento radicale nelle politiche monetarie di alcuni paesi. La Riserva Federale ha già ridotto di 10 miliardi mensili il volume totale di dollari che stampa ogni mese ed a quanto pare un ulteriore taglio, che lo porterà a 65 miliardi al mese, è previsto per la prossima settimana. La Banca d’Inghilterra dichiara che ormai raggiungere l’obiettivo del 7 per cento del tasso di disoccupazione non è più necessario per alzare quello d’interesse, ed i mercati sono convinti che presto il costo del denaro tornerà a salire. Chi guadagna e chi perde da questi cambiamenti?
Dato che teoricamente la produzione di tutto questo denaro cartaceo serviva alle economie occidentali, piombate nella crisi del credito prima e poi in quella del debito sovrano, verrebbe naturale dire che a risentirne dovrebbero essere queste stesse. Ed invece non è così. Scopriamo che negli ultimi tre mesi, da quando il cambiamento di rotta della Fed si è ufficializzato, le economie dei paesi emergenti sono affette da una vera e propria fuga di capitali stranieri al ritmo di 20 miliardi per settimana, 24 nell’ultima, una aspirapolvere monetaria. I soldi fuoriescono da queste nazioni per rientrate in quelle occidentali, prima destinazione i buoni del tesoro americani seguiti dall’oro e dallo yen, questi i beni rifugio attuali. Anche alcune economie europee sono nuovamente di moda: il tesoro spagnolo ha piazzato 10 miliardi di titoli decennali con un rendimento sotto il 4 per cento, siamo ai minimi storici dello spread dall’inizio della crisi del debito sovrano.
La fuga dalle economie emergenti ed il rimpatrio in occidente non è giustificato da cambiamenti radicali nelle prestazioni economiche di queste regioni: gli Stati Uniti devono risolvere il problema del debito, in Spagna 6 milioni di disoccupati continuano a non trovare lavoro, la politica monetaria rivoluzionaria giapponese non ha ancora dato i suoi frutti e l’oro è quello che è, un bene rifugio solo temporaneo. La crescita economica delle economie emergenti è, ancora, di gran lunga superiore a quella occidentale e continuerà ad esserlo, l’investitore vero, quello di medio e lungo periodo infatti non ha spostato i capitali.
La crisi di liquidità in atto nelle economie emergenti è legata al comportamento dei cosiddetti hot money, i soldi della speculazione. Questi sono aumentati notevolmente di volume grazie alla creazione di moneta cartacea in atto dal 2009. In altre parole quel denaro che sarebbe dovuto andare ad alimentare le economie occidentali in crisi è invece finito nelle tasche degli speculatori che lo hanno utilizzato negli ultimi 5 anni per investire, o meglio speculare, nei mercati emergenti. Adesso che i rubinetti monetari si stanno chiudendo gli speculatori sono stati presi dal panico: la riduzione del denaro facile farà scendere la domanda di investimento nelle economie emergenti e quindi anche il valore dei beni, meglio uscire da questi mercati prima che si verifichi questa situazione, ecco la logica. Ma dato che tutti ragionano e si muovono all’unisono il risultato del fuggi fuggi è il crollo delle quotazioni dei beni e delle valute in questi mercati.
C’è poi la questione Cina, si teme una riduzione della domanda di beni provenienti dalle economie emergenti a seguito di un rallentamento del tasso di crescita e di una ipotetica crisi del settore del credito informale, ipotetica perché nessuno ha idea di come verrà gestita. Una cosa è certa, Pechino vuole alzare i tassi d’interesse per raffreddare l’economia e questa decisione viene interpretata come un segno premonitore della caduta della domanda.
Riassumendo: i soldi che sono stati stampati hanno gonfiato bolle speculative nelle economie dei paesi emergenti, bolle che adesso si stanno sgonfiando molto velocemente mettendo in crisi queste economie; se questo è vero allora è anche vero che solo una piccola parte di questi soldi è andata a sostenere le economie reali occidentali. Ma non basta, gli hot money non le politiche monetarie, né quelle economiche influenzano l’andamento dell’economia mondiale.