Ritengo il Jobs Act di Renzi un documento interessante e degno di attenzione, per uscire dallo stato di bozza in cui si trova necessita naturalmente di parecchio lavoro e magari di qualche contributo propositivo.
Comincio dalla parte forse più ostica: le coperture finanziarie e le modalità con le quali concretizzare le azioni per il rilancio economico e a favore dell’occupazione. Concordo sulla scelta di concentrare le risorse solo in alcuni settori ritenuti strategici, scriverlo è politicamente scorretto, ma il mutare strutturale del sistema non ci consentirà di salvare tutti senza distinzioni. Anche operando in pochi e ben individuati settori però, il problema è trovare fondi sufficienti per intervenire in maniera non solamente “cosmetica”.
A breve il “Fiscal Compact” imporrà all’Italia l’obbligo di reperire circa 40 miliardi l’anno da destinare alla riduzione del debito pubblico. Il rapporto costi benefici dell’impegno preso appare però poco vantaggioso: investire 40 miliardi per ridurre di poco più di un miliardo l’anno gli interessi sul debito non è un buon affare. Se lo scopo fosse invece rassicurare i mercati sulla “solvibilità” del paese, il farlo mettendolo in ulteriori difficoltà economiche è addirittura demenziale. Ritengo che l’inconfessabile vero scopo del Fiscal Compact non sia rassicurare i mercati affinché tornino ad investire, ma fornire loro nuove opportunità di rendita, a prezzi di saldo, con le privatizzazioni massicce che saranno costretti a fare paesi come il nostro.
L’Europa nel frattempo, finalmente consapevole che di troppo rigore si muore, sta rivoluzionando la normativa sugli “aiuti di stato”. Dal primo luglio gli Stati membri potranno sostenere, con risorse pubbliche, strumenti finanziari come l’acquisto di azioni, titoli assimilabili ad azioni, prestiti, garanzie o strumenti ibridi, a favore non solo di Pmi e Startup ma anche di tutte le altre imprese fino a 499 addetti e di quelle a media capitalizzazione con massimo 1.500 addetti, purché sostengano costi per l’innovazione pari almeno al 10% di quelli operativi.
Gli aiuti per le Pmi, autorizzati senza notifica preventiva a Bruxelles, potranno arrivare fino a 15 milioni di euro in totale per impresa. Oltre i 15 milioni, gli aiuti dovranno essere giustificati dalle condizioni di mercato e notificati a Bruxelles, ma senza alcun massimale né tetti specifici di contributo annuale. Gli Stati membri potranno finanziare fra il 60 e il 90% degli investimenti a tutte le aziende, indipendentemente dalla loro collocazione territoriale. La percentuale minima di partecipazione dei capitali privati sarà decisa solo in funzione del rischio inerente all’investimento.
Non potevamo chiedere di meglio: da luglio sarà possibile sostenere in maniera incisiva, diretta ed efficace le piccole e medie imprese innovative dei settori ritenuti strategici. Con l’approvazione del Fiscal Compact ci siamo già impegnati a reperire risorse per parecchie decine di miliardi l’anno per i prossimi 20 anni; quello che occorre rinegoziare con l’Europa non è l’impegno al reperimento delle risorse, ma solo la possibilità di destinarne la maggior parte al rilancio. Potremo considerarlo un obbligo a dirottare spesa corrente improduttiva, in un fondo per investimenti strategici capace di rilanciare l’economia. I risultati, in termini di crescita dell’economia e dell’occupazione, compenserebbero ampiamente sia la mancata riduzione degli oneri per interessi sul debito, che l’effetto recessivo prodotto dalla riduzione e riorganizzazione della spesa. Le risorse, a queste condizioni, potrebbero quindi essere reperite solo grazie a tagli della spesa corrente e non con manovre straordinarie come la svendita ai privati del patrimonio dello stato.
Sono sicuro che gli imprenditori, quelli che “creano lavoro” come scrive Renzi nel suo Jobs Act, se aiutati con il credito, la riduzione del costo del lavoro e dell’energia, sapranno portare il paese fuori dal guado.
Sintetizzando come richiede un programma: impegno ad onorare il “Fiscal Compact”, alla condizione che le risorse siano dedicate in massima parte a finanziare le imprese dei settori individuati come strategici, utilizzando le nuove norme europee sugli “aiuti di stato”.