C’è una guerra in atto contro gli street artists: da Genova a Foggia, da Pesaro a Crotone, da Bologna a Firenze. Negli ultimi anni in Italia sono aumentati esponenzialmente i processi per imbrattamento e danneggiamento, culminati a Milano, nel settembre 2013, con la condanna di due giovani writer a 6 mesi e 20 giorni più 400 ore di lavori socialmente utili (il pm aveva chiesto un anno e due mesi) per associazione a delinquere
“La nostra è l’unica nazione in cui si è arrivati a una condanna del genere. Mai successo prima”, ha dichiarato l’avvocato esperto in materia Domenico Melillo, durante un recente incontro a Milano su questi temi. Una pena esemplare utile a livello politico bipartisan insieme ai cosiddetti “cleaning day“, le giornate in cui i sindaci si mettono in bella mostra dando una mano ai nuclei antigraffiti. “Da quando nel 2009, in pieno governo Berlusconi, si sono inasprite le pene, ogni ipotesi di imbrattamento è perseguibile senza distinzione, dalla scritta, al logo fino al disegno vero e proprio – spiega ancora Melillo – Questo moltiplica i processi, con costi enormi per le tasche pubbliche e senza alcuna forma di rieducazione”.
Tra le vittime di questa guerra c’è anche la muralista romana Alice Pasquini, in arte Alicé, 33 anni, collaborazioni alle spalle con Nike e Range Rover. Come donna e artista ha sempre rischiato, senza nascondersi dietro pseudonimi. Ha dipinto in vari posti del mondo, dal Marocco fino all’Australia ed è diventata una protagonista dei social network, da Instagram a Facebook, che considera nuove frontiere per un artista. Mentre veniva chiamata dal sindaco di Roma Ignazio Marino per decorare l’ufficio per i rapporti con i cittadini della Capitale, a Bologna la denunciavano per imbrattamento. Ora rischia 1000 euro di multa e un anno di reclusione. Della denuncia preferisce non discutere, per parlare della sua arte: “Lo spray in mano a un deficiente è un’arma per scrivere ‘ti amo, Mara’ ma dato a un artista è uno strumento. Arrivo adesso da Berlino: il proprietario di un muro pieno di tag mi ha chiesto di dipingerlo perché sapeva che, per rispetto, non lo avrebbero più sporcato. Ha capito che costa di meno pagare un progetto di un writer che mettersi a pulire il muro di nuovo. In Italia la gente non è culturalmente pronta per questo e combatte la street art senza distinzioni”.
Anche per Christian Omodeo, fondatore dell’associazione Le grand jeu e ricercatore “la repressione è inutile” perché “i writer diventano solo più aggressivi e smettono di cercare muri legali. I graffiti sembrano generare la stessa percezione negativa che avevano alla fine degli anni ‘70 a New York”, spiega. Allora raccontavano un malessere, una città che si era spenta. La storia si ripete, ma si preferisce combattere i sintomi che la malattia che li ha generati.
“Le tag (firme su muro) sono l’espressione di una riappropriazione dello spazio urbano. Nessuno sceglie un monumento o un ecomostro. In questo senso la public art è democratica. E’ più facile cancellare un disegno che un edificio – spiega la giovanissima romana Mp5, fumettista, street artist, illustratrice e scenografa – Quando faccio un muro studio il contesto, abito il luogo e il graffito che nasce viene accettato”. E’ l’esperienza “sociale” maturata a Fougeres, in Bretagna.
La stessa esperienza del duo Orticanoodles, composto da Wally e Anita. La loro ricerca dal writing illegale si concentra presto sulle committenze, come il murales da 200 metri quadrati della partigiana Francesca Rolla in piazza delle Erbe a Carrara (vedi foto in evidenza). In Europa nella maggior parte dei casi non è permesso dipingere sui muri, ma la street art non solo è tollerata, ma anche valorizzata da un sistema di gallerie e mostre a dimostrazione che anche con questo tipo di arte si può “mangiare”. Da ben due anni Orticanoodles discute di un grosso progetto con la città di Milano, ma di concreto non è arrivato ancora nulla. “Siamo coinvolti in molti, ma è stata una perdita di tempo e soldi. Il problema è avere a che fare con interlocutori impreparati e burocrazia elefantiaca. I Comuni sono macchine arcaiche mentre l’arte si muove veloce”.
“In Germania c’è la grande fiera dedicata all’arte urbana e alla street art ‘Stroke‘ che da cinque annivaria location tra Berlino e Monaco di Baviera. L’obiettivo è quello di creare un mercato per entrambi: l’artista, le gallerie e l’acquirente interessato – racconta Alessandra Senso, talento bergamasco di 34 anni, a Berlino da tre – In Italia gli affitti sono improponibili e ci vogliono conoscenze per trovare il posto giusto”. Le mete preferite dei turisti della street art sono Londra, Parigi, Barcellona, Melbourne, New York. Con tanto di graffiti tour e workshop a base di spray o stencil. “A volte anche io ho fatto da guida qui a Berlino – dice Ale Senso – Bisognerebbe organizzare qualcosa di simile anche da noi, ci sono pezzi di grande valore”
La speranza proviene dai piccoli comuni. Casola Valsenio (Ravenna), Pizzo Calabro (Vibo Valentia), Grottaglie (Taranto). All’ultima edizione dello StreetView di Lecco il protagonista è stato il belga Roa, uno dei muralisti più famosi al mondo. “Una mostra, però, non risolve il problema della reticenza che permane in una parte della cittadinanza verso questa forma d’arte”, ammette l’assessore alla cultura di Lecco Michele Tavola (Pd). Per questo ha organizzato corsi coinvolgendo giovani e meno giovani. “All’Università della terza età all’inizio i pensionati volevano sbranarci, poi hanno capito”.