Finora nessuna edizione della finalissima, che dal 1967 assegna il titolo della NFL, si è svolta con una temperatura inferiore ai quattro gradi registrati a New Orleans nel 1972. Ma domenica a New York il record sarà battuto
Comunque andrà a finire il Super Bowl numero 58, che domenica metterà di fronte Denver Broncos e Seattle Seahawks, un record sarà quasi certamente battuto. Finora nessuna edizione della finalissima, che dal 1967 assegna il titolo della NFL, si è svolta con una temperatura inferiore ai quattro gradi registrati a New Orleans nel 1972, quando i Dallas Cowboys sconfissero i Miami Dolphins. Il primato è destinato a cadere domenica a East Rutherford, località alle porte di New York ma situata geograficamente nel New Jersey, che ospita il Metlife Stadium, teatro dell’avvenimento sportivo più atteso del panorama americano. Quando la NFL, nel 2009, si riunì per determinare la sede del Super Bowl 2014, decise di applicare in via eccezionale una deroga alla cosiddetta “weather rule”, la quale stabiliva che il Super Bowl si sarebbe potuto disputare solo in stadi al coperto o in città con una temperatura media a febbraio pari ad almeno 13 gradi: era troppo allettante, a fini mediatici e commerciali, la tentazione di disputare per la prima volta la finalissima nella città simbolo della nazione, a maggior ragione ora che Giants e Jets, le due squadre cittadine, avevano unito le forze per costruire uno stadio all’avanguardia, inaugurato nel 2010.
Del resto, il gelo e la neve hanno fatto da cornice ad alcune delle partite più memorabili della storia NFL, campionato che vive la sua fase cruciale, quella dei playoff, in pieno inverno, spesso in stadi outdoor situati in luoghi dalla temperatura glaciale come Chicago o Green Bay. Ma il Super Bowl in questo senso aveva sempre rappresentato un’eccezione perché, per il suo evento vetrina, la NFL aveva sempre voluto riservare a pubblico e sponsor le migliori condizioni climatiche possibili. Fino alla scelta di montare idealmente il suo più grande palcoscenico nella Grande Mela, una decisione che potrebbe condizionare anche il risultato finale. Perché il giocatore in assoluto più atteso tra quelli che scenderanno in campo domenica, il quarterback dei Denver Broncos Peyton Manning, compirà a marzo 38 anni e tre anni fa si è sottoposto a quattro operazioni alle vertebre del collo nel giro di pochi mesi. Sembrava difficile che potesse tornare in campo, soprattutto ai livelli precedenti agli interventi chirurgici. Invece Manning è ripartito da zero con risultati superiori alle più rosee aspettative: alla seconda stagione con i Denver Broncos, la squadra che ha scommesso su di lui dopo un anno intero di stop, ha polverizzato tutti i record più importanti per un quarterback in una singola annata.
E ora ha la possibilità di togliersi di dosso, forse definitivamente, la scomoda etichetta che lo ha accompagnato per tutta la carriera: quella di essere forse il migliore quarterback di sempre in regular season, ma di fallire spesso nei momenti più importanti dei playoff, quando ci si gioca il titolo NFL. Peyton Manning di titoli ne ha vinto solo uno; la metà di quelli che ha conquistato il fratello Eli, più giovane di 5 anni e sulla carta dotato di minor talento, due in meno di quelli vinti da Tom Brady, il rivale storico di Peyton, l’alter ego con meno primati all’attivo, ma più trofei da esporre nella sua bacheca personale. Il freddo, però, potrebbe rovinare i piani di Manning, soprattutto se la temperatura scenderà sotto lo zero e se in campo i giocatori dovranno fare i conti con neve e ghiaccio.
Il gioco dei Broncos si basa infatti prevalentemente sull’attacco aereo, ovvero sulla grande capacità di Manning di lanciare il pallone con precisione ai suoi ricevitori. Ma con il freddo la sensibilità della mano destra di Peyton, già lievemente diminuita dopo gli interventi al collo, cala ulteriormente. E il vento, se ci sarà, rischia di cambiare la traiettoria dei palloni lanciati da Manning, sempre precisi ma meno potenti rispetto a prima delle operazioni chirurgiche. Seattle non avrà di questi problemi: al Super Bowl non è arrivata per la forza dell’attacco, ma grazie alla difesa, la migliore della NFL in buona parte delle categorie statistiche. E quando attaccano, piuttosto che lanciare, i Seahawks preferiscono affidarsi alle gambe di Marshawn Lynch, portatore di palla dotato di grande potenza, particolarmente a suo agio quando fa freddo e il terreno è pesante. Loro, la scelta della NFL, la approvano eccome.
di Matteo Gandini