Tra le maglie della Legge di Stabilità 2014 ha trovato posto anche il bonus bebè, il consueto “aiuto” per tutti i neo genitori italiani che dal 2006 – anno in cui venne lanciato per la prima volta – sono costretti a subire beffe e contraddizioni per le sue modalità di attuazione. Eppure, proprio questo sostegno dovrebbe al contrario aiutare chi è alle prese con l’arrivo di un bimbo.
La novità di questa sospirata agevolazione statale è che non si tratta dell’una tantum in contanti prevista al suo varo di otto anni fa, ma dovrebbe essere un’evoluzione del prestito agevolato concesso dal 2011 al 2013. Il condizionale è d’obbligo visto che, oltre alla norma presente nel testo approvato dalla Stabilità, non si conosce ancora null’altro. Il nuovo fondo è infatti attivo solo su carta in attesa che venga emanato il decreto che ne stabilirà e chiarirà i criteri di erogazione. Ad oggi si sa che il governo ha stanziato 30 milioni di euro a sostegno delle giovani famiglie a basso reddito, siglando un accordo con l’Associazione bancaria italiana, affinché vengano erogati prestiti con tassi d’interesse agevolati. Un tesoretto che verrebbe gestito direttamente dalla presidenza del Consiglio dei ministri che andrebbe così a sostituirsi al Dipartimento per le politiche della famiglia che, fino ad oggi, aveva coordinato fondi e pratiche.
Il cambiamento sembra aver colto di sorpresa anche la stessa presidenza del Consiglio, tant’è che sul sito del governo dedicato all’iniziativa sono ancora presenti le vecchie modalità di richiesta, con una nota che specifica: “Le informazioni contenute nelle pagine si riferiscono alla precedente Legge che cessa di offrire i suoi benefici al 31 dicembre 2013”. Meglio, tuttavia, ricordare che le richieste già presentate alle banche entro la fine dello scorso anno saranno comunque vagliate con le vecchie procedure. Unica certezza: per stilare la graduatoria dei beneficiari si utilizzerà sempre l’Isee, vale a dire l’indicatore della situazione economica equivalente che consentirà di appurare quali famiglia abbiano più bisogno del prestito. Fermo restando che ai neogenitori possa essere veramente d’aiuto un finanziamento, anche se a tassi agevolati, in un momento di crisi in cui le rate della casa, dell’auto o quelle del dentista assorbono già buona parte dello stipendio mensile.
Del resto la storia del bonus bebè è ricca di colpi di scena e stravolgimenti. Tutto parte nel 2006, quando l’allora presidente del Consiglio Berlusconi invia a casa dei neogenitori migliaia di lettere personalizzate per pubblicizzare un piccolo aiuto economico di mille euro. Iniziativa lodevole e affettuosa, così come apostrofato dal finale della lettera che riportava: “Un grosso bacio” da parte del Cavaliere. Quell’inaspettato contributo, però, si trasforma di lì a poco in una pantomima: del bonus bebè possono beneficiare solo i cittadini italiani con reddito non superiore a 50.000 euro. In altre parole sono esclusi gli extracomunitari regolarmente residenti che hanno comunque ricevuto la lettera a casa. Inoltre, non era stato specificato se il reddito era al netto o al lordo. Tanto che a distanza di anni almeno ottomila famiglie furono riconosciute colpevoli di aver riscosso illecitamente il bonus. Passano un paio di anni e nel 2009 viene istituito il Fondo per i prestiti alle famiglie con nuovi nati che diventa operativo solo nel 2010, rinnovato con la Legge di Stabilità del 2012.
Il Fondo garantisce per il 50% dell’importo prestiti fino a 5mila euro, con tasso fisso agevolato, a famiglie nelle quali nasce o viene adottato un bambino tra il 2009 e il 2014. Per i nuclei con indicatore Isee inferiore a 15.000 euro la garanzia del Fondo aumenta fino al 75% entro il limite del 20% della dotazione del Fondo. Condizione: i prestiti non devono avere una durata superiore a 5 anni. Risultato? Dal 2009 a metà 2012 sono stati concessi finanziamenti solo a 25.986 famiglie con un impegno del fondo di poco più di 10 milioni di euro contro la dotazione di 75 milioni. Tanto che, ad esempio, per i nati nel 2009 presenta la domanda solo l’1% degli aventi diritto. A decidere a chi erogare il prestito sono le banche aderenti all’iniziativa che, nonostante lo Stato si faccia garante, possono riservarsi la possibilità di erogare o meno il prestito. In particolare, gli istituti si sono impegnati ad applicare un tasso globale fisso (Taeg) che non superi il 50% del tasso effettivo globale medio (Tegm) in vigore nel momento in cui il prestito viene concesso. Ma gli istituti possono richiedere anche l’apertura di un conto corrente e negare l’accesso al credito ai genitori protestati o “cattivi pagatori”, visto che il finanziamento non è un diritto. Per il presente, intanto, resta la confusione. E, per scoprire in che modo i genitori potranno beneficiare del fondo, bisogna aspettare il decreto che dovrebbe arrivare prima dell’estate.