“Taranto è diventato un laboratorio sociale e politico in cui tutto viene rimesso in discussione, nel momento in cui la magistratura ha fatto capire che la politica è rimasta immobile, indietro, fuori dalla storia”. Questa è la rivelazione che ha avuto Cecilia Mangini, nata a Mola di Bari il 31 luglio 1927, e il primato di essere la prima documentarista italiana dal Dopoguerra, nel road movie tra Taranto e Brindisi che ha compiuto insieme alla co-regista Mariangela Barbanente. Il documentario si chiama “In viaggio con Cecilia“ed è un tentativo di riflessione, inchiesta, ritorno in un Sud che già Cecilia aveva raccontato nei suoi lavori passati. Dopo aver aperto come Evento speciale il 54mo festival dei Popoli, arriva nelle sale da fine gennaio, con un “tour” che a partire dal 29 gennaio porterà il film e le sue autrici nelle principali città italiane: a Bologna questa sera alle 20 al cinema Lumière), a Taranto lunedì 3 febbraio alle ore 20.30 al cinema Bellarmino), a Bari martedì 4 febbraio, ore 20.30, al cinema Splendor.
Negli anni ’60 aveva realizzato “Brindisi” e “Tommaso”, due documentari brevi dedicati al nuovo impianto petrolchimico, e negli anni ’80 insieme a suo marito Lino Del Fra, era stata all’Italsider per una rivisitazione di “Comizi d’amore” di Pier Paolo Pasolini. “Dal documentario di Pasolini emergeva un nord avanzato e un sud represso. Dal documentario di mio marito, è emerso che lo spartiacque non era più tra nord e sud ma generazionale. Avevamo filmato il sud nel momento della speranza, con le grandi industrie che dovevano significare emancipazione e sviluppo, attirati dal fatto che finalmente il meridione si stava muovendo… Oggi invece le cose si sono rovesciate e le due fabbriche sono il non plus ultra dell’inquinamento e del disastro ambientale”.
Il cinema di Cecilia è stato sempre caratterizzato da un forte impegno sociale, da un interesse genuino per le storie ai margini. “Il cinema non è né maschile né femminile. Il cinema è cinema. Chi lo fa lo deve fare bene. Che le donne lo facciano occupandosi di genere significa escludere gli altri problemi, gli altri accadimenti, il futuribile”. Cecilia il cinema l’ha fatto. E’ stata una documentarista in anni in cui mettersi dietro la macchina da presa, per una signorina, era un atto rivoluzionario. Allora le donne avevano un ruolo molto preciso e definito. “Dovevano essere oche giulive in attesa di sposarsi e di diventare angeli del focolare – dice Cecilia – In questo mondo in cui le donne dovevano nascondere la propria intelligenza, nascondere la propria capacità di emergere, anche se io mi rapportavo al pari dei ragazzi”.
Cecilia comincia come fotografa di strada, seguendo la cronaca e lo spettacolo per i rotocalchi e le riviste di cinema. Per l’Eco del cinema confezionò una copertina con Gina Lollobrigida. “Quella copertina fece scalpore perché la ritrassi in un modo meno consueto, con un primo piano un po’ pensoso”. Cecilia discute di libri, s’interessa di politica e partecipa alla fondazione di un cineclub.
Era il 1958 e per il suo primo lavoro documentario sulle borgate romane, “Ignoti alla città”, chiama Pier Paolo Pasolini. “Ho fatto un documentario sulle borgate e vorrei avere il tuo testo, gli dissi. Pier Paolo sentì la mia richiesta a telefono, non mi conosceva. Venne subito in moviola, lo vide, lo volle rivedere per prendere degli appunti. Aveva questa semplicità e questa disponibilità totale. Io ho capito che era una persona che aveva un’assoluta necessità di essere amato, di fare parte delle persone che lo contattavano”. Anche Cecilia dice di avere qualcosa del genere perché gliel’ha insegnato il cinema. “Se non entri in rapporto con le persone il cinema non lo fai”.
E forse Cecilia non pensava che l’avrebbe fatto ancora. Eppure, a 86 anni è arrivata la proposta di rimettersi dietro la macchina da presa. “So benissimo qual è la fatica psicofisica nel fare un documentario, e ho detto: ce la farò? E’ una sfida e le sfide si raccolgono. Andiamo”. E così è nato il film prodotto da GA&A productions in associazione con Elefant film e Rai cinema.
Nel 1964, in “Essere donne”, la Mangini aveva filmato le donne lavoratrici di tutta Italia: tabacchine, braccianti, operaie che erano costrette a emigrare e che consideravano la fabbrica come il grande salto verso l’emancipazione. Sono passati 50 anni e l’Ilva di Taranto ha prodotto, insieme al disastro, qualcosa di inaspettato. “Ho trovato un laboratorio di movimenti che si stanno attivando per una democrazia partecipativa, senza presupposti populisti. La consapevolezza dei cittadini che il presente è nelle loro mani. E a volte questo combacia col fatto che si strappano le tessere elettorali. Ne è venuto fuori un documentario di idee, e in questo momento c’è un’urgenza assoluta di documentari di idee”. A detta di Cecilia, sono una vera “ginnastica mentale”.