A differenza di un altro celebre menestrello, Woody Guthrie, che sulla sua chitarra aveva scritto “Questo strumento uccide i fascisti”, Pete Seeger sul suo banjo aveva impresso la frase: “Questa macchina circonda l’odio e lo costringe ad arrendersi”. Oltre a una naturale avversione nei confronti di un sistema che discrimina e che rende dispotici e classisti, quel che accomuna i due menestrelli è una grande capacità di scrivere canzoni, con testi che sono in grado di influenzare la vita d’intere generazioni. Canzoni, peraltro, che sono vere e proprie opere d’arte. Le loro voci erano, allo stesso modo, informazione e denuncia, il seme da cui sarebbe germogliato uno stile nuovo di fare musica.
Se ne è andato a 94 anni, per cause naturali, uno dei principali interpreti della musica folk statunitense, Pete Seeger, suonatore di banjo impegnato, divenuto celebre anche per le sue radicali prese di posizione in ambito politico, espresse sia in versione solista sia come membro della leggendaria folk band Weavers. È morto a New York, dove era nato nel 1919, nella casa che lui stesso si era costruito nella Hudson Valley, dove aveva vissuto assieme alla moglie Toshi, scomparsa sei mesi prima.
Autore di brani celebri come Where Have All the Flowers Gone? e If I Had a Hammer, che Rita Pavone ripropose in lingua italiana in una versione ultra-pop spogliandola di ogni significato politico, Datemi un martello, Pete Seeger più volte si è trovato a criticare amministrazioni e governi, a schierarsi attivamente in favore delle minoranze, delle unioni civili e delle politiche ecologiste, essendo un convinto antinuclearista; contestò inoltre ogni tipo di guerra persuaso che “l’unico modo che ha l’umanità per sopravvivere sia di rinunciare alla guerra, al razzismo e al profitto privato”.
Grazie alla sua opera portò alla riscoperta delle radici della musica popolare, dando una grossa spinta in particolare alla musica dell’anima, il Blues, e le sue canzoni diedero un forte impulso a molti artisti americani, a partire da quel Bob Dylan che tanto si è ispirato a Seeger. La leggenda narra che quando Bob Dylan si presentò in versione elettrica al Newport Folk Festival nel 1965, Seeger abbia tentato di tagliare i cavi elettrici con un’ascia. Non furono immuni da influenze neppure Joan Baez, Steve Earle né Bruce Springsteen colui che riscoprì come “il figlio prediletto”. Nel 2006 incide con una band bluegrass l’album We shall overcome. The Seeger sessions, interamente dedicato al repertorio del folksinger, un magico viaggio dentro un pugno di meravigliose canzoni dense di poesia, frammenti di vita e di esistenze. Ma anche racconto di conflitti e di rivendicazioni che hanno segnato un’epoca. Seeger ha anche collaborato al brano di successo dei Byrds Turn! Turn! Turn! e ha adattato canzoni tradizionali cubane Guantanamera, o gospel con We Shall Overcome.
Il mondo della musica è in lutto perenne. Lou Reed all’alba del nuovo anno, poi in rapida successione Claudio Abbado, Riz Ortolani e ora Peter Seeger. Ognuno un Maestro nel proprio campo. E se un artista, secondo la definizione contemporanea, è colui che manifesta la propria personalità nell’arte, che condivide emozioni provate ed esperienze vissute, che va incontro al suo pubblico, Pete Seeger lo era pienamente e nel profondo. Se l’arte diventa recitazione basata sull’immedesimazione del personaggio, nel caso di Seeger l’emozione è senza dubbio provata e, cosa molto affascinante, sgorga spontaneamente nelle canzoni stesse, nell’intreccio delle parole con la musica. L’arte che scavalca il tempo per colpire al cuore oggi e domani con la stessa intensità.