Un episodio grottesco, una gaffe clamorosa quella accaduta nei giorni scorsi al Telegiornale di Telecolor, ovvero quella che un tempo era la più autorevole rete televisiva privata siciliana e tra le più accreditate a livello nazionale. Presa in mano da Mario Ciancio Sanfilippo, il padrone di tutti i media siciliani – finito dentro un’indagine della Dda di Catania per concorso esterno in associazione mafiosa – si è ridotta ad una sorta di baraccone nel quale la conduttrice Lorena Dolci riferisce ai telespettatori che una palazzina a Palermo crolla per “infiltrazioni mafiose”. Una gaffe, ripresa da Striscia la Notizia che non va da sola. Il 27 gennaio il vertice della redazione ha risposto stizzito a chi proponeva un pezzo sulla Giornata della Memoria, affermando che i pezzi di medicina annoiano gli spettatori. Insomma la Giornata della Memoria scambiata per una giornata dedicata all’Alzhaimer. E ancora il cronista di nera sempre di Telecolor che bracca il compagno di una ragazzina morta, per cause assolutamente naturali, insieme al bambino che portava in grembo, per strappargli una lacrima che viene regolarmente mandata in onda in barba a qualunque etica.
Perché soffermarsi su questi episodi? Solo perché forse illustrano plasticamente lo stato nel quale è ridotta (con qualche rarissima eccezione) l’informazione a Catania. La distruzione della realtà di Telecolor con il licenziamento nel 2006 della redazione storica dell’emittente ha segnato una vera e propria pulizia etnica, compiuta da Ciancio con la silenziosa complicità della stragrande maggioranza della città. Solo pochissime le voci che osarono levarsi contro quell’epurazione.
Ma perché venne azzerata quella realtà? Perché fummo cacciati non solo dalla Redazione, ma poi anche dalla città?
La Redazione di Telecolor, sin dalla fine degli anni ottanta, rappresentava un punto di riferimento accreditato a livello nazionale. Tutti i grandi giornali, ma anche TMC o la redazione di Michele Santoro, avevano affidato le loro corrispondenze ai giornalisti di Telecolor e quei giornalisti raccontavano Catania senza peli sulla lingua. Il Telegiornale era estremamente autorevole e spesso batteva negli ascolti il Tg regionale della Rai. Soprattutto quei giornalisti si occupavano degli affari di Catania, dei suoi nuovi padroni. Racontavano cosa avveniva ad esempio dietro il Piano regolatore della città, quali interessi vi erano, o accendevano i riflettori sul grande affare dei parcheggi sotterranei a partire da quello di Piazza Europa. Raccontavano dei processi dei quali nessuno voleva che si parlasse. Ogni giorno accendendo il televisore diventava difficile far finta di nulla.
Vennero smontati, sempre da quel gruppo di cronisti, anche alcune oscure operazioni come quelle organizzate con una inquietante campagna di stampa attorno alla collaborazione di Maurizio Avola, che si rivelerà poi decisiva non solo per demolire la famiglia di Cosa Nostra, ma per arrivare ad identificare e condannare gli autori dell’assassinio di Giuseppe Fava.
Quella redazione non faceva un’informazione militante, non eravamo dei barricaderi non appartenevamo a nessuna “chiesa”. Facevamo semplicemente i giornalisti, senza aggettivi e senza spocchia. Un’informazione “normale”. Ma a Catania, nella Catania di Ciancio, nella Catania dove la regola era quella del silenzio, un’informazione “normale” era intollerabile.
L’ultima infamia si consumò proprio durante la vertenza. Ad accordo economico raggiunto i Ciancio – davanti al Prefetto – pretesero di imporre ai giornalisti, in cambio del loro posto di lavoro, l’accettazione di una redazione parallela, direttamente controllata da Ciancio che si sarebbe occupata non solo di sport, ma anche di cronaca politica, nera e giudiziaria. Insomma lo stipendio lo si poteva salvare, ma l’autonomia professionale no. Un patto scelerato che venne respinto al mittente.
La redazione venne ridotta al silenzio. Rimasero i pochi compatibili. Il resto del lavoro affidato a collaboratori pagati dieci euro (lordi) a pezzo.
Oggi il Tg di Telecolor non viene ripreso più dal Corriere della Sera, ma da Striscia. Una differenza che spiega tutto.