“Nella marina di #Monasterace, dov’era l’antica Kaulonia, è stato scoperto il più grande mosaico ellenico della #MagnaGrecia”. Con questo tweet entusiastico il Ministro dei Beni Culturali Massimo Bray il passato 24 luglio commentava il rinvenimento del più grande e articolato mosaico ellenico finora noto. Un tappeto musivo di circa 30 metri quadrati, con raffigurazioni variopinte di draghi e delfini, all’interno delle terme di Nannon, dal nome dell’architetto che le ha realizzate.
Pochi mesi dopo, ad ottobre, la notizia di un altro rinvenimento eccezionale. Quello di una tavola di bronzo in alfabeto acheo nella quale sono ricordati l’agorà, una statua ed un elenco di divinità della città. Il luogo della scoperta? Quasi incidentalmente ricordato anche sulle testate nazionali. L’antica Caulonia, oggi nel comune di Monasterace Marina, in provincia di Reggio Calabria, versante ionico della regione.
Il centro acheo identificato da Paolo Orsi alla fine dell’Ottocento, ma che solo le ricerche sistematiche degli ultimi quindici anni, intraprese in alcune aree dall’Università degli Studi di Pisa e della Scuola Normale Superiore, dalla Soprintendenza archeologica della Calabria con il contributo dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria e dell’Università della Calabria, oltre che dell’Università degli Studi di Firenze, hanno permesso di ricostruire nell’impianto urbano di tipo ippodameo. Con il determinante contributo del nutrito numero di laureandi e laureati, specializzandi e specializzati, che ogni anno giungono da ogni parte d’Italia. I risultati a dir poco eccezionali. Per la topografia antica, certo. Per l’architettura, naturalmente. Insomma per l’archeologia nel suo complesso.
Un luogo bellissimo, ma estremamente fragile, esposto ai venti, e soprattutto alle mareggiate. Che, infatti, agli inizi di dicembre hanno provocato ingenti danni al sito. Divorando la duna e raggiungendo quasi i resti antichi. Provocando lo smottamento di una striscia di terreno nel quale era una grande quantità di materiali archeologici. Cuteri, l’archeologo che da anni dirige le indagini archeologiche, alla metà di dicembre dello scorso anno si è rivolto al Capo dello Stato. Chiedendo al ministro Bray di visitare il sito. Tentativi di richiamare l’interesse su un’area archeologica di grande rilevanza. Nel frattempo l’amministrazione provinciale di Reggio Calabria ha provveduto a realizzare una barriera frangiflutti. Utile a proteggere almeno una parte, circa 250 metri a rischio, quella in coincidenza del tempio. Un’emergenza quella, connessa all’azione del mare, tutt’altro che nuova per l’area archeologica di Caulonia.
ttere al riparo l’area archeologica. Si afferma impropriamente, per risorse inadeguate. Per le tante criticità con le quali dover fare i conti. Anche in ambito calabrese. Da Medma a Sibari. Da Vibo Valentia a Castiglione delle Paludi, da Trebisacce a Timpone della Motta. Eppure almeno alla Regione i soldi non sembrano mai essere mancati. Quel che invece sembra non esserci è un interesse reale nei confronti di una pagina della nostra storia. Senza dubbio la più illustre. Forse proprio per questo la più “ingombrante”.