Avviso ai naviganti. È in arrivo la tempesta perfetta, scatenata per far naufragare la fragile flottiglia di chi si oppone all’ennesima porcata: la ristrutturazione della scena politica a proprio uso e consumo, ad opera del duo di impuniti scassademocrazia Renzi e Berlusconi. Dopo tanti rumori di fondo, oggi tuona su Repubblica il suo giovane vice direttore Massimo Giannini, fornendo il taglio editoriale che è prevalso nella corazzata del giornalismo italiano. Infatti scrive: «Il fatto politico che più conta, adesso, è che nella nostra democrazia bloccata un convoglio riformatore si è finalmente messo in marcia». Notare l’abile uso manipolatorio delle parole: l’asserzione senza il benché minimo dubbio che i maneggi del segretario del Pd con il pregiudicato di FI sarebbero una disinteressata e lungimirante soluzione riformista dei sempre più gravi problemi italiani; non un marchingegno per fregare un po’ di concorrenti nell’arena politica. Il disegno abbastanza ignobile di spianare il dissenso passando alla spartizione reciproca del territorio elettorale; un po’ come i sovrani di Spagna e Portogallo si ripartivano tra loro il continente americano, sotto lo sguardo benevolo del santo Padre (oggi si tratterebbe di Giorgio Napolitano).

Il Giannini è una penna di spessore, non un impallinato, come ormai si sta confermando Eugenio Scalari, e neppure un sopravvalutato di nome Francesco Merlo, cresciuto alla corte del cardinale di Curia della carta stampata Paolo Mieli. Quel Merlo che oggi parla dell’opposizione pentastellata nei termini di “squadracce grilline” (anche se sono altri a tirare schiaffoni e la Loredana Lupo a prenderseli).

Se – dunque – Giannini, già all’orecchio di Massimo d’Alema, si espone in questo modo, andando in rotta di collisione con tutte le più prestigiose firme della sua testata (da Stefano Rodotà a Barbara Spinelli), vuol dire che l’operazione manipolatoria ha preso ancora una volta il largo, dispiegando tutta la sua potenza; per ricostruire i termini della realtà ad uso e consumo dei manovratori. E si stia ben attenti, visto che in questi anni, sotto la dicitura mendace di comunicazione, già si sono realizzati disegni reazionario/repressivi che hanno ribaltato radicalmente la realtà.

Ci si ricorda come vent’anni fa i giudici dei pool milanese e palermitano erano in testa a tutte le top ten dell’apprezzamento sociale e del come tale apprezzamento sia virato in demonizzazione grazie all’opera delle grancasse mediatiche?

Adesso il mood è quello che gli scassademocrazia, gli sfasciacostituzione, sono il nuovo che avanza, il progressismo del XXI secolo; e chi non finge di crederci è un bieco conservatore. Possiamo indignarci fin che vogliamo, ma dovrebbe metterci in guardia (e in apprensione) ricordare come l’opera di modificazione artificiale negli umori nazionali ha sempre dato grandi soddisfazioni a chi voleva incassare i dividendi della strumentalizzazione.

Questo il motivo per cui il sottoscritto – come altri amici, da Flores d’Arcais a Mauro Barberis – continua a rivolgere le proprie critiche al M5S. All’evidente stato confusionale del suo traghettatore Beppe Grillo.

Non da nemico, ma da compagno di strada che scrive e dice quello che pensa (a differenza degli “estimatori a prescindere”, anche quando avanzano qualche blando distinguo e – così – fanno infuriare pure loro i talebani e i dorotei del movimento; gli uni perché non concepiscono l’idea stessa di critica, gli altri perché interessati solo a serbare la benevolenza di chi li ha fatti eleggere).

Difatti l’arrivo della tempesta rende particolarmente vulnerabile la scelta di attestarsi negli immobili fortilizi delle proprie prese di posizione (con qualche sortita puramente dimostrativa, tipo la richiesta di impeachment per il Presidente Napolitano). Una strategia suicida, mentre si preannunciano gravi perturbazioni e i capoccia della corporazione trasversale del potere adottano la ben più efficace guerra di movimento.

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