Politici che mercanteggiano il prezzo della democrazia, che stabiliscono quote per salvare solo alcuni e marginalizzare altri, che restano fedeli a un progetto di futuro che non tiene affatto conto delle classi sociali. Del gran difetto della democrazia rappresentativa parlava Hannah Arendt mentre Emma Goldman sosteneva che “se votare cambiasse qualcosa, sarebbe illegale” senza nulla voler togliere alle lotte delle donne che hanno consentito ad altre di poter dire e fare altro a parte che le regine del focolare.
Il punto è che ora siamo quasi al paradosso. Le riforme elettorali, a ogni legislatura una diversa, sono sempre frutto di negoziazioni in cui qualcuno ritiene di poter acquisire più potere con un mandato popolare. Ma se sei tu che stabilisci le regole, premio di maggioranza più e premio meno, per farti incoronare re, di che volontà popolare parli? Quando quella partecipazione diventa solo un gratta e vinci per chi supera la tal percentuale o meno, di che partecipazione parliamo?
A parte i golpe militari potrei citarvi fior di dittatori eletti, legittimamente, dal “popolo” con regole che i suddetti dittatori avevano pensato e fatto votare in parlamento. Perciò, checché ne dicano le persone che confidano nella bellezza e responsabilità del voto, la partita si gioca prima e oggi gli aggiustamenti si fanno sulla base dei sondaggi, previsioni realizzate da esperti di marketing, perché il consenso, che lo vogliate o no, è quello che la politica guadagna a suon di campagne virali, propaganda, con l’ausilio di media più o meno di parte.
Il maggioritario con soglie di sbarramento, quello che vi hanno svenduto come ricetta per la “stabilità” di governo, come se i nostri governi “stabili” servissero a noi e non a chi gioca al piccolo speculatore dell’economia, è a mio modesto avviso un insulto alla democrazia. E’ lo strumento dello spazzino istituzionale che così riesce a incenerire la volontà di tantissime persone la cui idea è sacrificata ai progetti bipartisan di due soggetti, più o meno sempre uguali, che a tavolino decidono il nostro destino.
I poveri, i disoccupati, gli operai, le precarie, le indigenti, le arrabbiate, subiscono un ricatto. Devi scegliere il meno peggio, assai somigliante al peggio, perciò non hai nulla da scegliere, infine smetti di votare. Meglio la piazza, la rivolta, la ribellione, a meno che non spunta fuori un altro leader al quale affidarsi e ancora si tratta comunque di delega e non di partecipazione. E se la gente partecipa vedi i potenti che gestiscono le sorti elettorali che parlano di tecnici, competenze, e si riferiscono forse alla “competenza” del riuscire a mantenere una poltrona sotto il culo. Se parli di sfiducia nei confronti della classe politica ti liquidano con un insulto: populista. Così il gioco torna ai partiti di maggioranza e nulla cambia.
Perciò io parlo di esclusione di classi sociali, e se la sinistra non ascolta e in parte si è ridotta a essere un litigioso salotto radical chic, più preoccupato per la sorte dei propri partiti che per quella di chi si dà fuoco per povertà, poi c’è poco da lamentarsi sul fatto che le destre nazionaliste prendono spazio.
Ricordo che chi va in fallimento, viene licenziato, non lavora, subisce sfratti, pignoramenti, non può neppure andare in piazza perché sarà addomesticato a suon di manganelli. Di che democrazia parliamo dunque?
In tutto ciò leggo che ci sono donne la cui unica preoccupazione è quella di ricavare quote nelle liste perché “donna è meglio”. Io confido nelle persone tutte, senza distinzione di alcun tipo. Chiedo: forse che le donne che abbiamo avuto al governo o in parlamento hanno fatto meglio? C’è una riforma del lavoro che ci è stata propinata, con accluso un pianto, da una ministra che poi avrebbe definito “choosy” i precari. Donna fu quella che aprì le porte, con l’attuale presidente della Repubblica, del Cpt poi diventato Cie. Donne sono quelle che usano altre donne per fare leggi in nostro nome in cui inseriscono norme repressive contro il movimento Notav. Sono quelle che votano norme economiche che ci tolgono lavoro e ci impongono di svolgere lavori di cura. Le stesse che hanno difficoltà perfino a pronunciare la parola “lesbica” o che, quando una trans arriva nel loro bagno, urlano allo scandalo. Sono quelle che spesso stanno dalla parte dei potenti. Dove sta allora la differenza?
Non fossero borghesi che disconoscono la questione della differenza di classe potrebbero esigere spazio per chi spazio non ne ha, e parlo di quote sociali, un po’ di gente con le pezze al culo, maledizione, a raccontare quello che noi vediamo tutti i giorni e che dentro i palazzi non si vede mai. Perché le donne sono parte attiva di una comunità e se si usa il brand “donna” per legittimare brutte regole elettorali allora stai semplicemente esigendo un privilegio.
Non in mio nome, direi. Perché il “rosa”, stereotipato, anche sessista, oramai puzza.