La candidatura unica del sindaco di Bari ha la conseguenza di unire le minoranze democratiche e portare dritto allo strappo tra la corrente del segretario, che lui pure rappresenta. I mal di pancia non si placano tra chi la linea del sindaco di Firenze l’ha abbracciata sin dalla prima ora
Il sindaco di Bari e attuale presidente del partito, Michele Emiliano, è il candidato unico alla segreteria del Pd pugliese. È scontro con una parte degli altri renziani: “Congresso farsa senza primarie. In Puglia non si cambia verso”.
Il rischio è nei fatti: tutto cambia perché nulla cambi. La candidatura unica di Michele Emiliano alla guida del Pd pugliese ha la conseguenza paradossale di unire le minoranze democratiche e portare dritto allo strappo tra renziani, che lui pure rappresenta. I mal di pancia non si placano tra chi la linea del sindaco di Firenze l’ha abbracciata sin dalla prima ora: nessuna speranza di svolta, un partito incarnato da una sola persona e che, da qui al prossimo anno, si avviterà attorno ad un solo nome. Questo è il pericolo paventato da chi definisce quello del prossimo 16 febbraio un “congresso sovietico, una sconfitta per tutti”. Non ha peli sulla lingua Guglielmo Minervini, assessore regionale alle Politiche giovanili nella giunta di Nichi Vendola: “Una scelta di questo tipo indica chiusura in se stessi, dissonante rispetto all’impulso che lo stesso Renzi sta dando. È come se si preferisse battere la strada di un accordo di protezione reciproca tra gruppi dirigenti, piuttosto che aprirsi al cambiamento”.
È da Roma che è giunto l’ultimo placet alla candidatura unica dell’ex magistrato, attuale sindaco di Bari prossimo alla scadenza del secondo mandato, futuro candidato alle regionali 2015. Del Pd, Emiliano è stato primo segretario nel 2007, poi sconfitto nel 2009 dal dalemiano Sergio Blasi. Ne è, comunque, l’attuale presidente. Figura, stranamente, in grado di unire le più disparate anime e di mettere a tacere le dissonanze, laceranti lo scorso autunno. L’accordo con l’area cuperliana, a cui probabilmente spetterà la vicepresidenza, è stato raggiunto nel fine settimana. Nessuno ha nulla da ridire. Elena Gentile, assessore regionale alla Sanità ed esponente di spicco del gruppo dei civatiani, ribadisce, invece, il senso della scelta: “non abbiamo presentato un nostro nome per evitare una ulteriore conta. È prevalsa l’esigenza di dare respiro unitario in questa fase di naturale fibrillazione, che ci vedrà alle prese con amministrative, europee e regionali. Il dibattito riprenderà dopo questo momento di difficoltà. Se l’opinione dei gruppi dirigenti converge, che male c’è? Siamo lo stesso partito”.
Niente primarie, quindi. Una pax partitica quella che si delinea. E anche qualche renziano di ferro allarga le braccia: “Purtroppo non è ancora arrivato il momento di un ricambio che faccia posto ad una nuova classe dirigente. Siamo andati sul sicuro. Emiliano è figura di transizione, comunque, fino alle prossime regionali. Poi si vedrà”. Parola di Maurizio Bruno, segretario provinciale del Pd di Brindisi.
Ma è proprio questo ad allarmare. Di fronte all’attuale presidente dei democratici hanno ceduto il passo tutti, compreso l’ex assessore regionale alle Opere pubbliche, Fabiano Amati, lo scorso giovedì, durante la riunione convocata a Bari dallo stesso sindaco. In verità, il retroscena dice che in molti, se non tutti, si aspettavano fosse Emiliano a lasciare libera la scena. “Ci aspettavamo un passo indietro. È chiaro. E invece la Puglia non cambia verso. Speriamo almeno che la segreteria non sia formata dai soliti attori della politica”, aggiunge Paolo Foresio, capogruppo Pd al Comune di Lecce e antesignano dei renziani nel Salento.
“In questa chiusura nel rapporto con la società, si preferisce ricorrere alla scorciatoia protettiva del leader forte, generando una insidiosa concentrazione di potere. Da qui al prossimo anno, infatti, Emiliano sarà in perenne campagna elettorale”, rincara la dose Minervini. “Dalle viscere di un partito che, a livello locale, ha visto nascere una nuova generazione– continua- non siamo stati in grado di estrarre l’interprete di una classe dirigente diversa da quella sulla cresta dell’onda da oltre un decennio. Gli altri possibili nomi in campo, sgambettati nell’istruttoria, nella fase finale hanno mancato di coraggio per coagulare energie contro una pulsione alla conservazione, magari per ritagliarsi ancora qualche spazio”.