L'eremo svizzero è cinto d'assedio e, se non fosse per la conclamata neutralità della Confederazione, si temerebbe l'invasione del nemico
Prima tappa: 4 settembre 2013. Addio al nubilato, salpando dal porto di Montecarlo con le amiche del cuore su una barca a vela, dress code bianco e coroncina di fiori in stile hippy chic, la sposa in Missoni tricoter. A seguire il rito civile, decisamente low profile, lontano dai flash e dai curiosi. Ma, bling bling, la maratona nuziale Andrea Casiraghi e Tatiana Santo Domingo di tre giorni comincia domani a Gstaad (nel cantone di Berna in Svizzera), più blindata della Swiss National Bank. In arrivo un bastimento di aristocrazia in crosta (per dirla alla Pizzi) e ospiti super vip farciti come bignè per un numero direttamente proporzionale al servizio di body guard: si calcola, a occhio e croce, una guardia del corpo ogni quattro ospiti come misure anti-paparazzo. Gstaad è cinta d’assedio e, se non fosse per la conclamata neutralità della Confederazione, si temerebbe l’invasione del nemico.
Buon matrimonio Tatiana, te lo auguro con tanti fiocchi di neve belli e tondi. No, non sono invitata al gran marriage anche se mi considero una vecchia amica del tuo papà Julio Mario. L’ultima volta vi ho visto insieme a una cena a Ibiza. Eravate briosi e abbronzati, nessuno avrebbe immaginato che sarebbe stata per lui l’ultima estate. All’inizio ha pensato a una stupida bronchite, ma quella tosse fastidiosa non passava mai. I primi accertamenti a Parigi hanno svelato un brutto male. Ha iniziato la chemio poi, visto che tu vivevi a New York, hai voluto che venisse a curarsi lì per stargli più vicina. Gli regalasti un cucciolo di cane – mi disse al telefono – un batuffolo da accarezzare e da fargli compagnia. Ci siamo sentiti spesso, io e Julio, fino all’ultimo, anche se la sua voce diventava sempre più affaticata. Ma la grinta era quella di sempre: “Prenderò il cancro a calci nel sedere“. Ci ha provato fino all’ultimo, ma la malattia lo stava già consumando come un lumicino. A marzo è peggiorato e in una settimana è volato via.
Ho conosciuto il tuo papà a New York, ero una giovane studentessa alla Columbia University e lui studiava, se ricordo bene, Business e Management, lo aspettava la grande fortuna di famiglia da gestire. Era il 1981, Studio Fifty 54, Andy Warhol, la Big Apple era da prendere a morsi e, credimi, l’abbiamo spolpata fino all’osso. Tu nascevi due anni dopo e, lasciami dire, che vi assomigliate come due gocce d’acqua anche nello spirito ribelle. Uno dei suoi motti era: “Pop until you drop!”.
Poi, s’infilò gli occhialini da intellettuale e si diede alla cultura pop. Aveva messo su una casa editrice di nicchia dedicata ai grandi del jazz, sua passione da sempre. Anche logorato dalla malattia, continuava a progettare. La musica vi scorre nel dna, sarà per questo che tuo fratello Julio Mario junior si è dato al djing. Sarà lui ( hip, hop) a farvi scatenare la sera del marriage sotto il tendone del tennis addobbato a festa.
Io mi godrò le nozze principesche dai rotocalchi (a chi andrà l’esclusiva?) e, mentre entrerai nell’antica chiesetta di Rougemont di bianco vestita, Julio Mario, seduto sulla sua nuvoletta, alzerà il calice e brinderà all’eternità.
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