I geni dell’uomo di Neanderthal non sono scomparsi 40.000 anni fa, ma continuano ad essere attivi nel nostro Dna: nella maggior parte dei casi dettano istruzioni sulle caratteristiche di pelle e capelli; alcuni sono all’origine di malattie come il diabete di tipo 2, la cirrosi biliare, il lupus e la malattia di Crohn; altri ancora possono influenzare il comportamento dei fumatori. La scoperta, pubblicata sulla rivista Nature, si deve al gruppo di genetisti dell’università di Harvard guidato da Sriram Sankararaman e David Reich.

I ricercatori hanno analizzato il patrimonio genetico di oltre mille individui, 846 dei quali di origine non africana e 176 provenienti dall’Africa sub-sahariana. Questi dati genetici sono stati confrontati con quelli relativi ad un uomo di Neanderthal vissuto circa 50.000 anni fa, la cui mappa del Dna è stata completata nel 2013. È emerso così che gli uomini contemporanei non discendenti dal ceppo africano hanno circa il 2% circa dei geni in comune con l’uomo di Neanderthal (foto esposta all’American Museum of Natural History).

Questo pugno di Dna d’epoca influenza soprattutto la produzione della cheratina, ossia della proteina che conferisce robustezza a pelle, capelli e unghie. La cheratina è anche un aiuto fondamentale per affrontare climi più freddi e l’ipotesi è che proprio questi geni siano stati cruciali nel consentire all’uomo di adattarsi a un clima più mite rispetto a quello africano. “È forte la tentazione di pensare che i Neanderthal fossero già adattati all’ambiente non africano”, osserva Reich.

Altri geni sono stati invece ‘difficili da digerire’: sono probabilmente all’origine di malattie legate alla funzione immunitaria e perfino alcuni comportamenti, come la capacità di smettere di fumare. Sono complessivamente nove varianti genetiche legate a problemi del sistema immunitario. Dall’analisi dei geni è emerso infine che i geni ereditati dai Neanderthal potrebbero anche essere legati all’infertilità maschile. Secondo i ricercatori i dati indicano inoltre che parti del Dna neanderthaliano potrebbero essere state cancellate durante l’evoluzione. “La storia della prima evoluzione umana è affascinante e ci aiuta a comprendere meglio i contributi genetici apportati dai nostri antenati alla salute e alle malattie”, ha osservato Irene Eckstrand, dei National Health Institutes (Nih) degli Stati Uniti, che hanno parzialmente finanziato la ricerca.

L’articolo su Nature

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