Crollano gli utili di Electrolux. Il gruppo svedese degli elettrodomestici, balzato all’onore della cronaca in questi giorni per la nota vicenda relativa alla trattativa aperta con i sindacati e il governo sul piano che prevede ingenti tagli allo stipendio dei dipendenti pena l’abbandono della produzione, ha chiuso il 2013 con una perdita più ampia del previsto. Nel solo quarto trimestre dell’anno il rosso è stato di 987 milioni di corone (circa 112 milioni di euro) contro i 621 milioni attesi dagli analisti, a causa di una domanda debole in Europa ma anche di un effetto cambio sfavorevole.
Si tratta del primo trimestre in rosso dal 2009. Il fatturato è sceso dell’1% a 28,89 miliardi di corone. Sull’intero 2013 Eletrolux ha realizzato un utile netto di 672 milioni di corone (in calo del 72% rispetto all’anno prima) e ricavi scesi dell’1% a 109,15 miliardi di corone. La reazione in Borsa non si fa attendere, dove il titolo perde oltre quattro punti percentuali sulla piazza di Stoccolma.
E, mentre gli investitori corrono ai ripari, perfino il Financial Times inizia a occuparsi del caso. “La disputa su Electrolux ha riacceso il dibattito sulla mancanza di competitività dell’Italia, dopo che il Paese ha perso circa un quarto della sua produzione industriale negli ultimi sei anni”, afferma il quotidiano britannico, sottolineando che il piano di riduzione dei salari “evidenzia le difficoltà degli investitori stranieri” e “spinge il governo a provare ad arginare la fuga di produzione industriale all’estero”.
Il ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, si schiera intanto contro “quelli che danno per scontata la chiusura dello stabilimento di Porcia“, che “mi fanno rabbia”, perché “è una battaglia ancora tutta da fare”. L’obiettivo, precisa in un colloquio con il Gazzettino, è ”rendere competitiva l’Electrolux, finanziando ricerca e sviluppo, e attraverso corsi professionalizzanti per i lavoratori, in maniera da garantire una produzione diversa, che faccia poi la differenza sul mercato”. E aggiunge: “Non vogliamo che la discussione parta dal costo del lavoro, ma da un serio piano industriale”.