Cinema

Addio a Miklós Jancsó, il regista che scandalizzò e incantò Cannes

Noto per i suoi lunghi piani sequenza e per rappresentare lo scorrere del tempo nelle sue epopee storiche attraverso i cambi di costume l'artista fu premiato per il racconto delle rivolte contadine ungheresi del 19esimo secolo. Considerato uno dei grandi cineasti del 20esimo secolo nel 1990 l'artista venne insignito del Leone d’oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia

di RQuotidiano

“Vizi privati, pubbliche virtù”: dietro questa espressione – e dietro la cinepresa – c’era lui, il regista ungherese Miklós Jancsó. È morto ieri a 92 anni, dopo una lunga malattia. Nato il 27 settembre 1921 a Vac, una cittadina a nord di Budapest, si diplomò in cinematografia nel 1951.

Jancsó conquista la notorietà internazionale con quella che viene definita una trilogia e comprende I disperati di Sandór (1964), L’armata a cavallo (1967), e Silenzio e grido (1968). Distribuiti a suo tempo nei cinema d’essai e nelle rassegne dei circoli universitari, oggi è difficilissimo visionarli in quanto non sono disponibili in home-video e vengono trasmessi solo in rarissime occasioni da Raitre nella programmazione notturna. I tre film sono passati alla storia del cinema anche per il significativo utilizzo del piano sequenza, che diventa per Jancsó una sorta di marchio di fabbrica.

Nel 1968, Jancsò conosce a Budapest la giornalista e sceneggiatrice italiana Giovanna Gagliardo; insieme si trasferiscono a Roma dove lavorano insieme per più di dieci anni. Del 1970 è il primo film realizzato in Italia, La pacifista, che ha come protagonista Monica Vitti. Segue subito dopo La tecnica e il rito, sempre realizzato con capitali italiani. Ancora con la Gagliardo gira Roma rivuole Cesare (1973) e Vizi privati, pubbliche virtù (1975) che dà scandalo al Festival di Cannes di quell’anno per le scene di nudo che vedono, tra l’altro, la partecipazione come figurante di una giovanissima Ilona Staller, da poco stabilitasi in Italia e non ancora conosciuta come “Cicciolina”. Aveva vinto il premio per la miglior regia al Festival di Cannes nel 1972 per Salmo Rosso.

Noto per i suoi lunghi piani sequenza e per rappresentare lo scorrere del tempo nelle sue epopee storiche attraverso i cambi di costume, Jancsó fu premiato a Cannes per il racconto delle rivolte contadine ungheresi del 19esimo secolo. Considerato uno dei grandi cineasti del 20esimo secolo a fianco di Michelangelo Antonioni e Ingmar Bergman, nel 1990 Jancsó venne insignito del Leone d’oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia.

Dal Fatto Quotidiano del 1° febbraio 2014

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