Propongo ai lettori ancora qualche riflessione più specifica sulla vicenda giudiziaria che ha visto come imputati Raffaele Sollecito ed Amanda Knox, oggi colpevoli di omicidio dopo il secondo giudizio d’appello, scaturito da una decisione di rinvio della Corte di Cassazione. Di questa condanna abbiamo solamente il verdetto, detto dispositivo e dunque bisogna aspettare le motivazioni per comprendere quanto l’impianto motivazionale potrà reggere nel nuovo giudizio di Cassazione. Si possono fare però delle ipotesi sulla scorta del precedente giudizio di merito cassato in sede di legittimità. In un libretto di appunti per gli studenti (Il giudice, la scienza ed il mito della caverna, ed. Ilmiolibro.it) avevo ampiamente preveduto che la Cassazione non avrebbe fatto passare indenne la perizia del primo appello, quello dell’innocenza dei due imputati.

In quella perizia, valutando la traccia invisibile di Dna riconducibile a Sollecito, infatti, si era detto: 1) il reperto è stato recuperato 46 giorni dopo il crimine; 2) il Dna non soddisfa i requisiti minimi per via della contaminazione ambientale; 3) il reperto è stato recuperato sul pavimento ove era prevedibilmente a contatto con polvere ambientale; 4) è stato dimostrato che la polvere ambientale costituisce una significativa sorgente di contaminazione; 5) i sistemi di ventilazione possono fungere da veicolo di trasferimento della polvere tra le diverse stanze introducendo Dna; 6) inoltre, vista la documentazione in atti, si ritiene che nei sopralluoghi non siano stati utilizzati i corretti protocolli e procedure anche al fine di scongiurare il rischio di contaminazione ambientale (a questa notazione fa seguito un lungo elenco di manchevolezze poste in essere dalla polizia e dai reparti scientifici che hanno agito sulla scena del crimine); 7) è stato disatteso quindi quanto previsto nelle tecniche di investigazione sulla scena del crimine; 8) il reperto è stato recuperato 46 giorni dopo il crimine in un contesto altamente suggestivo di contaminazione ambientale.

Nel medesimo testo osservavo che, a fronte di doglianze certamente importanti, l’atto peritale non era stato in grado di individuare una fonte contaminante certa e dunque la nostra Cassazione non avrebbe ammesso un’esclusione della prova sul presupposto di un rischio e non di una certezza di fallacia della stessa. Piaccia o no la nostra giurisprudenza è assai stringente sul punto: i potenziali di rischio sulla prova non permettono di escludere la stessa in modo tranciante. Ero stato buon profeta: la Cassazione ha infatti tacciato di superficialità ed incongruità logica la decisione della Corte d’Appello di Perugia, così rilanciando un nuovo giudizio di gravame davanti alla diversa Corte di Firenze. Ovviamente, senza le considerazioni su possibili contaminazioni la prova a carico di Sollecito, si sarebbe evidentemente cristallizzata in una dimostrazione di colpevolezza, senza scampo. E Amanda che ha dichiarato di essere stata sempre con il ragazzo italiano durante tutta la serata, sarebbe stata travolta dal giudizio di responsabilità nei confronti dell’amato; probabilmente anche a prescindere da altri elementi processuali quali le tracce rinvenute sul coltello sequestrato. Certamente le motivazioni del nuovo giudizio saranno più complete e pregnanti, ma, come detto, già la lettura della perizia che ha avviato all’assoluzione suggeriva gravi scompensi di logicità e scollamenti dalla nostra tradizione giurisprudenziale.

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