Una regola fondamentale delle privatizzazioni che vogliono promuovere l’interesse pubblico è: “prima liberalizzare, poi privatizzare”. Altrimenti si rischia di rendere perpetue le rendite di monopolio: nessun privato infatti comprerebbe un monopolio senza garanzie che questo rimanga tale e nello stesso quadro normativo. La recente privatizzazione di Tirrenia insegna: in realtà si sono privatizzate le garanzie dei sussidi (tra l’altro, difficilmente giustificabili sul piano sociale). È la concorrenza che spinge il privato all’efficienza: senza concorrenza, il privato tende a comportarsi peggio del pubblico, che almeno ha una serie di vincoli e controlli maggiori. Si tratta dell’annosa polemica tra liberali e liberisti: i primi privilegiano la concorrenza, i secondi ritengono che le privatizzazioni siano un bene “a priori” (specie se fatte a favore di qualche impresa amica …).
L’Enav, cioè l’Ente Nazionale per l’Assistenza al Volo, è un monopolio per eccellenza: si occupa di fornire assistenza sia sulle rotte aeree che in prossimità degli aeroporti per le manovre di decollo e atterraggio, oltre a servizi meteo. Ha sempre goduto di ampi sussidi pubblici per gli investimenti, ma è stato recentemente sottoposto a una regolazione europea più stringente, non può più scaricare sulle compagnie aeree che serve tutti i suoi costi, come faceva un tempo (e questo aveva dato luogo ad abusi e inefficienze di ogni tipo, incluse vicende giudiziarie e fiscali non edificanti). All’estero sono stati avviati processi di privatizzazione per il controllo del traffico aereo, ma all’interno di un quadro e una tradizione di rigorosa regolazione orientata all’efficienza.
E veniamo al punto: Enav fa oggi profitti, come le Poste, e dichiara che questo sia avvenuto nonostante la contrazione del traffico aereo, grazie alla riduzione dei costi. Benissimo, si tratta di profitti pubblici di un monopolio pubblico. Vendere una quota di minoranza della società adesso, implica ovviamente fornire ai compratori una possibilità di fare profitti, altrimenti non la comprerebbe nessuno. Il problema che si pone è il seguente: si tratta di una possibilità o di una garanzia di fare profitti? Immaginiamo che si tratti di una possibilità realistica, a tariffe date, visto che queste sono decise in base a regole europee e non può certo fissarle l’Enav. Ma l’ente già ora fa profitti: quindi il valore delle quote di minoranza dell’ente messe in vendita rappresenterà semplicemente l’attualizzazione di profitti attesi. È come se lo Stato vendesse subito un edificio redditizio per fare cassa. E questi profitti, se contenessero una componente di rendita di monopolio, come quelli delle Poste, dovrebbero essere garantiti al compratore anche per il futuro, altrimenti nessuno comprerebbe. Una rendita monopolistica garantita significa una sottrazione netta di ricchezza ai cittadini italiani, una sottrazione che sarebbe garantita dalla mano pubblica.
Ma immaginiamo invece che così non sia e che nessuna rendita di monopolio garantita: il privato compra solo in quanto convinto di ridurre i costi ancora di più di quanto sia riuscita a fare la gestione pubblica, riduzione che, a tariffe date, comporterebbe maggiori profitti futuri. Questo appare uno scenario del tutto inverosimile: se la gestione pubblica è stata fin’ora così efficiente, perché non continuare a ridurre i costi, lasciando i profitti in mano pubblica? Se invece esistono vincoli politici a ulteriori aumenti di efficienza (come riduzioni dei costi del personale o delle forniture), questi costi rimarranno intatti, data la maggioranza azionaria che rimane in mano pubblica.
Perché la cultura anglosassone aborre le società miste, che invece noi amiamo tanto? Perché ognuno deve fare il proprio mestiere con ruoli ben distinti: lo Stato deve tutelare l’interesse pubblico, il privato deve garantire l’efficienza attraverso la ricerca del profitto, in un contesto concorrenziale o che sia regolato con meccanismi che premino l’efficienza e sanciscano l’inefficienza esattamente come fa il mercato. Ma da noi non si usa. Meglio consolidare strette amicizie tra imprese e mondo politico, con tutti gli intrecci possibili.
Il Fatto Quotidiano, 1 febbraio 2014