La stragrande maggioranza degli italiani, interrogati su quali papi abbiano mai giocato al calcio prima di salire al soglio pontificio, non andrebbe oltre Karol Wojtyła, appassionato di nuoto e di football, di canottaggio e di sci. Se però il calcio è quello fiorentino, ai futuri papi – Giulio de’ Medici (Clemente VII), Alessandro de’ Medici (Leone X), Maffeo Barberini (Urbano VIII) – dovremmo affiancare anche principi e signori: da Vincenzo Gonzaga, duca di Mantova, a Cosimo I de’ Medici.
Se sei poi un fiorentino doc, e tuo figlio ti dicesse un giorno di voler fare da grande il calciante per il quartiere, e di voler segnare tante cacce (‘mete’), sarai orgoglioso di lui ma preoccupato. Nel rettangolo di gioco i 54 giocatori in campo faranno scoppiare ogni volta l’inferno; nel 2006, quando il calcio fiorentino è stato rilanciato, tutto finì dopo la prima partita: i giocatori (e gli spettatori) se l’erano date di santa ragione. E a fronte di lividi, contusioni, fratture che il tuo ragazzo, dopo 50 accesissimi minuti di scontri, potrà aver riportato, niente premi in denaro. La ricompensa per la squadra vincitrice, oltre al palio? Una vitella chianina.
Se guerra dev’essere, si combatta con stile.
Il calcio è nato sulle rive dell’Arno, prima ancora che su quelle del Tamigi. Già nel primo Vocabolario (Venezia 1612) dell’Accademia della Crusca, alla voce calcio, si parla di un antico gioco proprio di Firenze, simile a una “battaglia ordinata”, giocato con una “palla a vento” e “passato da’ Greci a’ Latini, e da’ Latini a noi”.
Il paragone militare calza a pennello anche per la disposizione dei giocatori in campo, che ricorda lo schieramento in battaglia della fanteria romana (cfr. Luciano Artusi, Il calcio storico fiorentino. Quando un gioco diventa rito del tempo, dalla Seconda Guerra Punica (218-202 a. C.): i veliti, le prime linee, armati alla leggera; gli astati, armati di una lancia; i prìncipi, più robusti dei precedenti; i triari, i veterani, l’ultimo baluardo. Quattro ordini a cui corrispondono, nel calcio fiorentino: 15 innanzi (o corridori), i più avanzati; 5 sconciatori, i “guastatori” schierati sulle linee mediane; 4 datori innanzi, più arretrati; 3 datori indietro, gli estremi difensori.
Il calcio fiorentino, o calcio in livrea (o in costume), si giocava in genere durante il Carnevale ed era soprattutto roba da gentiluomini. Più simile al rugby che al moderno football, aveva poche regole e si usavano le mani più spesso dei piedi; mani guantate, chiuse quasi sempre a pugno, con cui si colpiva un piccolo pallone.
Si segna, scrive nel ‘500 Giovanni de’ Bardi, quando la palla oltrepassa lo steccato avversario: “questo fa per lo più il datore col pugno, avvegnaché con mano giammai trarla e scagliarla non lice, e di calcio col piede le si dà rare volte. Adunque ragion voleva nominare questo giuoco il pugno piuttostoché il calcio; ma egli non fu così, affinché non paresse cognominato dal fare alle pugna (che in lui è un difetto accidentale, e altrove uno spettacolo principale), e così fusse questo giuoco sì nobile e sì gentile per altro frainteso” (Discorso sopra il giuoco del calcio fiorentino, Firenze 1580, p. 8). Francesco Redi, nella testimonianza di un letterato francese (Egidio Menagio, Le origini della lingua italiana […], Parigi 1669, s. v. calcio), avrebbe parlato di palloni più grossi, in uso a Prato, rarissimamente presi a pugni e colpiti invece coi piedi.
Nel suo massimo splendore, fra il Quattro e il Seicento, il gioco fu più volte praticato sull’Arno ghiacciato. La partita più famosa si svolse però il 17 febbraio 1530 in piazza Santa Croce, per sbertucciare l’invasore, durante l’assedio di Firenze da parte delle truppe di Carlo V. Così l’ha raccontata il cinquecentista Benedetto Varchi nella sua Storia fiorentina (libro 11), uscita postuma (1721):
Alli 17 i Giovani, sì per non intermettere l’antica usanza di giuocare ogn’anno al Calcio per Carnasciale, e sì anco per maggiore vilipendio de’ nemici, fecero in sulla Piazza di S. Croce una partita a livrea, XXV Bianchi, e XXV Verdi, giuocando una vitella: per essere non solamente sentiti, ma veduti, misero una parte di sonatori con trombe, e altri strumenti in sul comignolo del tetto di S. Croce; dove da Giramonte fu loro tratto una cannonata; ma la palla andò alto, e non fece danno a nessuno.
Una cornice, è il caso di dire, davvero “esplosiva”.
di Massimo Arcangeli e Sandro Mariani