Cultura

Olimpiadi Sochi 2014, Limonov: “A Putin non importa niente ne farebbe a meno”

Lo scrittore e dissidente russo sul presidente: "Si imbarcò nell’impresa quando aveva ancora la mentalità di un ufficiale del Kgb. Ospitare le Olimpiadi in una zona subtropicale era la più alta dimostrazione d’insolenza e autorità, una sfida all’opinione pubblica". E sugli attacchi terroristici dice: "È stato avventato ospitare le Olimpiadi a poche centinaia di chilometri dalla Cecenia"

di Anna Lesnevskaya

“A Putin non importa nulla delle Olimpiadi, ne farebbe volentieri a meno, se solo non fosse per tutti quei soldi buttati via”. Tra tutti quelli che vedono i Giochi 2014 di Sochi come un’occasione di vanto per il presidente russo, quella di Eduard Limonov è una voce fuori dal coro. D’altronde lo è sempre stata, anche quando chiedeva l’arresto di Mikhail Gorbaciov, “colpevole” dello sgretolamento dell’impero sovietico che per lui è una tragedia personale. Per questa sua abitudine a non guardare in faccia nessuno, lo scrittore e dissidente che si è fatto politico non è molto amato dall’opposizione russa. Anzi, qualcuno lo crede al soldo del Cremlino. In Europa la sua vita è diventata un mito grazie a ‘Limonov’, libro biografico dello scrittore francese Emmanuel Carrère. “So che in Italia stanno girando un film su di me”. 

È conscio del fatto che non potrebbe lasciare il Paese per assistere alle riprese: una vertenza aperta per diffamazione nei confronti dell’ex sindaco di Mosca, Yuri Luzhkov, gli impedisce di lasciare la Russia. Nemmeno a Mosca, però, può dirsi sereno. Quando esce dal portone di casa, lungo la Prospettiva Lenin gli capita di essere arrestato dopo pochi passi. Accade quando si dirige verso la manifestazione a sostegno della liberta di riunione. Appuntamento promosso da lui, che si tiene ogni 31 del mese per rivendicare l’articolo 31 della Costituzione russa e per il quale puntualmente le autorità moscovite negano l’autorizzazione. A fare da guardia alla casa sono i militanti dell’ex Partito nazional-bolscevico, ora fuori legge. Limonov, vestito di nero e con i suoi 70 anni portati molto bene, attende nello studio.

Perché crede che i Giochi non siano importanti per Putin?
Si imbarcò nell’impresa quando aveva ancora la mentalità di un ufficiale del Kgb. Ospitare le Olimpiadi in una zona subtropicale era la più alta dimostrazione d’insolenza e autorità, una sfida all’opinione pubblica. Nei primi anni al potere si atteggiava da play boy. Ha stretto amicizia con Berlusconi e Sarkozy. Ma ora ha quasi 60 anni ed è rinsavito, è diventato un politico maturo.

Ha sottovalutato il rischio terrorismo?
È stato avventato ospitare le Olimpiadi a poche centinaia di chilometri dalla Cecenia. I terroristi aspirano a dare una risonanza mondiale alla loro causa. Non tutti i passi di montagna sono stati bloccati. Credo ci sia un rischio enorme per la sicurezza delle Olimpiadi.

Che ne pensa degli appelli di boicottare i Giochi per la questione dei diritti umani?
Il boicottaggio è una scemenza, come lo è anche pensare che dopo le Olimpiadi seguiranno delle repressioni. Allo stesso modo è una stupidaggine immaginare che Putin si preoccupi che tutti i leader mondiali siano presenti alla cerimonia ufficiale. Ormai ha superato queste cose. Considera invece una sua vittoria personale l’avere trovato una soluzione diplomatica sulla Siria. Ha anche impedito l’integrazione dell’Ucraina con l’Ue, nonostante ora la situazione nel Paese sia difficile.

Lei è cresciuto in Ucraina, conosce bene il Paese. Come si spiega la situazione che si è venuta a creare a Kiev?
La mancata adesione all’Ue è stata solo un pretesto per una vera e propria sollevazione popolare dell’Ucraina occidentale contro il resto del Paese. Ho vissuto a Khar’kov, grande città industriale della Riva sinistra (orientale) ucraina fino a 24 anni. Si parlava il russo, non si trovava quasi nessuno che parlasse ucraino. È una regione con un territorio ricco e densamente popolato che ha avuto sempre uno stretto legame con la Russia. Mentre l’Ucraina occidentale è una zona arretrata, prevalentemente agraria e con pochi abitanti, confinante con la Polonia. È un’eredità dell’Impero austro-ungarico, entrata a far parte della Repubblica socialista sovietica ucraina dopo la rivoluzione bolscevica del 1917. Queste due zone hanno convissuto durante l’Urss perché tutti i conflitti venivano placati con fermezza dalle autorità sovietiche. Anche se nel secondo dopoguerra si era sviluppata una guerra partigiana nella zona occidentale . L’Esercito insurrezionale ucraino associato al nome di Stepan Bandera ha combattuto contro i filo-sovietici fino agli anni ‘60. Penso che quanto stia accadendo non sia altro che la continuazione di quel conflitto.

Ha esortato il presidente ucraino Viktor Yanukovych a reprimere con la forza le proteste di Kiev. Non teme che questo possa provocare uno spargimento di sangue?
E’ ciò a cui stiamo già assistendo. Yanukovich non mi è per niente simpatico. Penso sia un presidente debole. Ha vinto le elezioni del 2010, ma di poco. Eppure è un presidente legittimo e quello che sta succedendo a Kiev è un crimine. Non è una protesta pacifica. Qualsiasi Stato avrebbe soffocato questo fermento. Il problema è che Yanukovich ha paura di essere disapprovato dall’Europa ed essere bollato come un violento. Andrà a finire che il suo cadavere sarà trascinato per le strade della capitale come quello di Gheddafi.

A quattro mesi dalle elezioni europee il Front national di Marine Le Pen è dato dai sondaggi come il primo partito. Ha vissuto a lungo in Francia. Come si spiega questa ascesa?
Conosco Jean-Marie Le Pen e sono stato ospite nella sua villa. Non penso sia un antisemita, lo vedo piuttosto come un bonario borghese francese. Già allora era molto avanti rispetto ai suoi tempi e capiva quello che stava succedendo all’Europa. L’Occidente sta vivendo un periodo difficile e i beni non bastano per tutti. In un primo momento la Francia ha tranquillamente digerito le ondate migratorie, ma ora non è più così. Bisogna dare ai francesi il diritto di accedere per primi ai beni di consumo. Si potrebbero accusare di razzismo, ma non è giusto. È necessario fare i conti con questa nuova realtà che condizionerà la vita anche in altri Paesi europei.

da Il Fatto Quotidiano del 29 gennaio 2014

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