Il listino asiatico implode con i timori sul rallentamento delle economie di Usa, Cina ed Eurozona. L'indice Nikkei, anche in scia alle turbolenze in corso sulle economie emergenti e al rapido rafforzamento dello yen, brucia 610,66 punti. E così si è scatenato il "panic selling" sui mercati d’estremo Oriente. Ieri borse in profondo rosso con Milano a guidare i cali, maglia nera in Europa in scia al mercato di New York
Dopo l’Europa e Wall Street anche i listini asiatici cedono terreno. La Borsa di Tokyo crolla con i timori sul rallentamento delle economie di Usa, Cina ed Eurozona e chiude a -4,18%: l’indice Nikkei, anche in scia alle turbolenze in corso sulle economie emergenti e al rapido rafforzamento dello yen, brucia 610,66 punti e si attesta a quota 14.008,47, ai minimi di seduta. E così si è scatenato panic selling sui mercati d’estremo Oriente. In netto ribasso Hong Kong -2,6%, Shanghai -0,8%, Shenzhen -0,7%, Taiwan -1,6%, Sydney -1,75%, Mumbay -0,9%, Giacarta -0,9%. Questa mattina le borse europee hanno aperto con il segno meno. Milano, dopo un inizio negativo, ha azzerato le perdite grazie ai bancari che riprendono quota.
Ieri era stato un lunedì nero. Borse in profondo rosso e Milano con guidare i cali, maglia nera in Europa in scia a Wall Street (il Dow Jones ha perso il 2,06% a 15.375,24 punti, il Nasdaq il 2,61% a 3.996,96 punti mentre lo S&P 500 ha lasciato sul terreno il 2,3% a 1.742,2 punti.) La batosta ai listini, fino al primo pomeriggio tutto sommato poco mossi malgrado i timori sui paesi emergenti, era arrivata dai dati macroeconomici Usa. Milano ha chiuso in calo del 2,63% con le banche nel mirino mentre rendimenti e spread sono solo leggermente aumentati: il differenziale Btp-Bund ha chiuso a 213 punti base e il rendimento decennale italiano ha terminato al 3,77 per cento. Non molto meglio è andata a Madrid che ha ceduto l’1,96% e, a ruota, a Parigi e Francoforte rispettivamente in discesa dell’1,39% e l’1,29 per cento. Col risultato che, a livello mondiale, le perdite da inizio anno delle borse viaggiano ormai sui 2 mila miliardi di dollari.
A prendere in contropiede gli investitori è stato soprattutto l’indice Ism dell’attività manifatturiera negli Stati Uniti, calato a gennaio a 51,3 dai 56,5 di dicembre, sotto le attese che lo davano fermo a 56. La brutta sorpresa costituita da fabbriche americane, attive a una ritmo rivelatosi il più debole degli ultimi otto mesi, ha dato il via alle vendite e ha riportato l’attenzione degli investitori anche sui dati diffusi a Pechino (oggi le borse cinesi erano chiuse per festività) dove la fiducia dei responsabili agli acquisti si è ridimensionata il mese scorso: in particolare nel comparto non manifatturiero si è attestata ai minimi da aprile 2011.
Ma è soprattutto sui segnali di fragilità dell’economia economia Usa che si sono concentrati gli investitori, in attesa di eventuali conferme dai dati sul lavoro, previsti venerdì. Se fossero deboli potrebbero peraltro rallentare il tapering (ossia la graduale diminuzione degli acquisti di titoli governativi) da parte della Fed: proprio oggi ha giurato la nuova presidente Janet Jellen.
Si sono invece leggermente allentate le tensioni sui mercati valutari dei paesi emergenti dove non si sono registrati nuovi record anche se i valori dei cambi restano alti. Uno per tutti, il dollaro/lira turca si è stabilizzato a 2,27 e tra gli operatori c’è chi teme altre fiammate in arrivo con ulteriori deprezzamenti delle monete dei paesi più deboli a partire da Turchia, Russia e Sud Africa.
Quanto a Milano ha sofferto più di altri anche perché a gennaio Piazza Affari è stata la migliore in Europa. Ha pesato comunque anche la struttura del listino dominato dalle banche. Queste ultime hanno sofferto a distanza per gli accantonamenti extra dei Lloyd’s e, per quanto riguarda in particolare le popolari, oggi sotto pressione, per la prospettiva dei prossimi aumenti di capitale. Male anche le auto per le vendite a gennaio diffuse oggi sia nel Vecchio Continente sia in Nord America.