L’articolo in cui ho denunciato le ingiurie sessiste fatte sulla pagina facebook nei confronti di una sedicenne ha avuto un effetto positivo e insperato. Il social network ha rimosso i contenuti lesivi e offensivi. Volevo tornare sull’argomento per ringraziare Giovanni, il lettore del Fatto quotidiano che lo aveva segnalato e rilevare come la pubblica denuncia di aggressioni verbali, possa essere una buona strategia contro l’inciviltà sul web. Ma l’inciviltà sul web non è che il riflesso di quella ormai profondamente radicata nella realtà, che rigurgita intolleranze e razzismo contro immigrati, omofobia, misoginia, antisemitismo e si condensa nell’opera al nero di menti prive di coscienza, involute o annegate dalla rabbia. Dobbiamo preoccuparci, e molto, quando questo avviene a livello collettivo, e dobbiamo preoccuparci ancora di più quando abita la politica e il Parlamento.
Quell’opera di sensibilizzazione rischia di perdere di forza ed efficacia quando la cultura del bullismo e della violenza sessista, razzista e omofoba, viene usata come arma politica e temo che l’impegno civile di molte donne e uomini sia vano come arginare con un cucchiaino, la piena di un fiume alimentato da una pioggia incessante.
Lo scorso anno, un consigliere comunale del Pd, Gianluigi Piras aveva augurato lo stupro ad una atleta russa, la Isimbayeva che a sua volta, aveva fatto dichiarazioni discriminanti sui gay. Poi era stato il turno di una consigliera leghista, Dolores Valandro, che aveva augurato lo stupro alla ministra Cecile Kyenge, spesso bersaglio di ingiurie razziste.
In questi giorni ho raccolto materiale: insulti, immagini, atteggiamenti violenti aggressivi, e poi banalizzazioni e semplificazioni, persino giustificazioni di atti di violenza; sarà interessante utilizzarlo e (ahinoi) mi faciliterà il lavoro quando durante i corsi di formazione, spiegherò che cosa intendo quando parlo di cultura sessista come fenomeno diffuso e trasversale. La cultura sessista, come quella razzista e omofoba, è un seme che si annida nei modelli di relazione che apprendiamo fin dall’infanzia, in pregiudizi, rappresentazioni dell’altro, o negli stereotipi. Nel ventennio triste che siamo soliti definire berlusconiano, queste scorie si sono accomulate perché nulla è stato fatto per smaltirle anzi ha fatto gioco alimentarle.
Laura Boldrini, presidente della Camera, è stata messa alla gogna sul web da Beppe Grillo, bersagliata da volgarità e fantasie di stupro; sei deputate sono state offese, ed un’altra è stata addirittura strattonata ed ha incassato uno schiaffo. Alle aggressioni, sono seguite negazioni e in alcuni casi le scuse da parte degli aggressori. Non è mancato il corredo di banalizzazioni. C’è chi sullo stupro ha fatto battute su Twitter, poi cancellate (Messora), e ci sono state anche le giustificazioni anzi le approvazioni sull’uso della forza contro la deputata Lupo (Pierluigi Battista).
Non so se mi sono persa qualche altro esempio ma la cultura della violenza contro le donne è questa roba qua. Commessa anche senza violenza fisica, e tollerata, giustificata, banalizzata. E non è qualcosa che viene commessa in famiglie disagiate, in segrete stanze dove regna la malattia psichiatrica, il raptus, dove esiste la criminalità e non colpisce le donne deboli o vulnerabili.
E’ tra noi. E’ un mondo di relazioni con le donne o con altri soggetti considerati analogamente “inferiori”, che riproduce modelli di subalternità, di prevaricazione e anche di una bella dose di sessuofobia (che poi le bacchettone sarebbero sempre le femministe). Dinamiche culturali e psicologiche che rendono inammissibile vivere il conflitto con una donna su un piano di parità, e allora subentra la violenza fisica o verbale: che siano schiaffi che volano, epiteti ingiuriosi, stupri reali o virtuali, e umiliazioni di corpi. Auguriamoci un veloce cambio di marcia perché quella cultura violenta contro le donne si esprime con maggior forza e determinazione proprio quando c’è una società che involve e diventa autoritaria. Le due cose non sono scisse.