“Otto studenti su dieci fumano marijuana”. Lo dicono chiaro e tondo, i giovani che studiano all’ombra della Madonnina, e chiariscono: “La legalizzazione non avrebbe alcun effetto sul consumo, non cambia nulla”. Le testimonianze dei minorenni intervistati a Milano all’uscita da scuola si assomigliano tutte: “Trovarla è semplicissimo: c’è chi fuma prima dell’inizio delle lezioni”. Inutile parlarne di legalizzazione, dunque? Niente affatto. Il dibattito sul proibizionismo, rilanciato proprio in Lombardia dall’assessore regionale all’agricoltura, il leghista Gianni Fava, è di tutto interesse. “Significa togliere soldi alla criminalità e darli allo Stato”, è l’argomento più convincente tra i giovanissimi milanesi, che vorrebbero più investimenti sulla scuola. “Qui mancano addirittura gli scivoli per i disabili, e quei soldi farebbero molto comodo se usati bene”, si accende uno di loro. “E poi legalizzarla vuol dire renderla più naturale, più buona e più sicura”, aggiunge un altro. Contrari? Pochissimi. Convinti che lo Stato non dovrebbe fare cassa su una sostanza “che fa male alla salute”. “E le sigarette allora?”, risponde prontamente qualcun altro. A dire no alla legalizzazione della cannabis rimane chi a scuola ci lavora. Gian Ferruccio Brambilla è preside all’Ettore Conti di Milano, un istituto che conta milleduecento studenti. “Quella della legalizzazione è una strada pericolosa, che non rispetta i ragazzi”, spiega, rivelando che il problema si fa sentire soprattutto tra i più giovani, studenti di 14 o 15 anni. E allora? Il preside non si fa illusioni: “Dire che fa male serve a poco. Dobbiamo aiutarli a costruire una autoapprovazione sociale, che non faccia sentire loro il bisogno di trasgredire”. Un bidello del liceo Parini taglia corto: “Legalizzarla? Saremo invasi dai cannati” di Franz Baraggino e Alessandro Madron
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