Chiamata generale per tutti gli appassionati di mare: leggete il libro di Nicolò Carnimeo Com’è profondo il mare (Chiarelettere), appena uscito. Fatelo armandovi di tanto coraggio perché credo, com’è capitato a me, che la vostra idea del mare, i vostri sogni di viverlo e cercare in esso la libertà, le vostre residue dotazioni di speranza verso il futuro, ne usciranno assai compromesse. E’ l’unico “difetto” di questo prezioso e impietoso saggio: getta chiunque abbia ancora una coscienza in uno stato di tragica preoccupazione. Il mare sta morendo, e io ho la tentazione di salpare anticipatamente con Mediterranea, per vivere come meglio posso quel che resta del mare.
I sacchetti di plastica che vediamo galleggiare da anni si stanno trasformando in una zuppa di microplastiche letali. Un sacchetto poteva far morire un cetaceo, soffocandolo, e questo era già abbastanza grave. Ma le microplastiche avvelenano la catena alimentare ittica partendo dai microrganismi, dunque distruggendo la casa dalle fondamenta.
Carnimeo, professore di diritto della Navigazione a Bari, giornalista, scrittore e soprattutto grande appassionato di mare, censisce in sei o sette i garbage patch, le smisurate isole galleggianti oceaniche composte da una zuppa di plastiche letali. Ma non solo, ci rivela che anche nel Mediterraneo, dove non ci sono gyre, i grandi mulinelli di rotazione delle acque che raccolgono i rifiuti, ma correnti indirizzate da vento e temperatura, queste isole di plastica di ogni genere esistono sotto forma di veri e propri fiumi. Ma non basta. In un excursus dettagliato almeno quanto inquietante, Nicolò Carnimeo riferisce testimonianze, dati, documenti, che testimoniano l’enorme e forse irreversibile impatto di metalli pesanti, inquinamento chimico, veleni nei mari che ancora guardiamo con speranza, dove sogniamo di trascorrere la parte più felice delle nostre vite, e da cui proviene una fetta importantissima dell’intero equilibrio ambientale e alimentare.
Carnimeo ci racconta le folli similitudini tra casi di avvelenamento del mare dovuto al mercurio apparentemente distanti come quello giapponese di Minamata, nel sudovest del Paese, e quello di Priolo, in Sicilia. E purtroppo non si sofferma solo su questo, toccando il tema oscuro e impronunciabile dell’inquinamento radioattivo dovuto all’affondamento periodico di navi cariche di scorie, e poi ancora l’impatto della mancata bonifica post bellica nei mari intorno all’Italia, elencando con crudele precisione l’elenco dei rischi a cui siamo esposti mangiando pesce.
E forse è questo il dato più allarmante che scaturisce dal quadro ricostruito da Carnimeo: il lettore avverte che il suo libro avrebbe potuto essere dieci, venti, cento volte più voluminoso se solo l’autore non avesse voluto contenersi per comprensibili esigenze di sintesi. Ciò che turba in modo quasi insostenibile del suo libro è che è un indice, un dettagliato excursus in cui ogni pagina cela un libro intero, un bollettino inclemente che quasi si ringrazia, da lettori, di non dover approfondire.
Tornare alle cronache politiche odierne, ai resoconti delle risse parlamentari, dopo aver girato l’ultima pagina di Com’è profondo il mare, dà il capogiro, fa venire la nausea. In un paese normale un libro come questo allarmerebbe l’intera comunità, farebbe fioccare interrogazioni parlamentari, mobiliterebbe partiti e sindacati, opinionisti e società civile. Ammesso che ci sia qualcuno che ha capito che di mare siamo sempre vissuti, ma di mare potremmo morire.