Nicolò Ferrara, 57 anni, era presidente del consorzio pubblico che a Trapani si occupa di gestione di fondi per la legalità e la manutenzione dei beni confiscati. E' finito in manette per corruzione. Complessivamente sono 11 gli indagati, impiegati e altri “faccendieri” coinvolti
Finisce in manette per corruzione il presidente del consorzio pubblico che a Trapani si occupa di gestione di fondi per la legalità e la manutenzione dei beni confiscati. Da sindaco di Calatafimi-Segesta, Nicolò Ferrara, 57 anni, al suo secondo mandato, non si è mai sottratto a sostenere iniziative contro la mafia.
Appena eletto sindaco, istituì l’assessorato alla legalità; da presidente poi del consorzio provinciale per la legalità e lo sviluppo, si era in ultimo adoperato a diffondere tra amministratori e funzionari pubblici le opportune conoscenze a proposito di normative contro la corruzione, e a dicembre in prefettura introdusse i lavori di un seminario sul tema. Ma è per corruzione, falso e turbativa d’asta, che è stato arrestato dai poliziotti della Squadra mobile di Trapani su ordine della Procura.
Una mazzetta da 3 mila euro intascata per favorire un imprenditore nell’acquisto di automezzi comunali messi all’asta che lui stesso, davanti ai pm Trinchillo e Belvisi , qualche settimana fa ha ammesso di avere ricevuto. E’ “servita per far beneficenza”, aveva detto. Poi ha cambiato versione, spiegando che si trattava di “soldi usati per saldare debiti”. Il gip Fontana, nonostante l’ammissione, ha deciso gli arresti domiciliari, perché la beneficenza non può giustificare la corruzione. Ad ammettere la mazzetta anche l’imprenditore che doveva essere favorito. Le intercettazioni hanno svelato un allegro sistema di gestione della cosa pubblica da parte del sindaco Ferrara. Secondo quanto emerge dalle intercettazioni, diceva agli impiegati: “Prepara … prepara le due offerte … lo hai capito? … due offerte, una la lasci in bianco ….”. Sarebbe stata la prassi: “Tannu c’era chiddu si faciunu sti cumminazioni (quando c’era quello si faceva così, ndr) … con Enzo … il segretario una volta glieli portavamo così”.
Complessivamente sono 11 gli indagati, impiegati e altri “faccendieri” coinvolti. Agli arresti domiciliari sono finiti, per una storia diversa dalla mazzetta, due imprenditori palermitani, padre e figlio, Ettore ed Enrico Crisafulli, 69 e 32 anni, con l’accusa di intestazione fittizia di beni. Ettore Crisafulli fu pentito in indagini di mafia a Palermo assieme al famoso Angelo Siino, il cosiddetto ministro dei lavori pubblici di Totò Riina. Poi Crisafulli tornò a delinquere. Per evitare il sequestro aveva intestato a terzi la sua impresa, la Simaco – che a Calatafimi ha eseguito lavori nell’area artigianale – ma a dare (involontario?) contributo alle indagini è stato proprio il figlio, Enrico, che in una mail ha raccontato le malefatte del padre. “Stiamo ingarbugliando le carte, l’abbiamo data a bere a tutti facendola franca e passando da carnefici a vittime …abbiamo messo un prestanome alla società”. Una mail finita nella posta elettronica di un poliziotto della Mobile di Trapani che indagava sui fatti di Calatafimi. “Colpa di un virus”, ha spiegato Crisafulli jr pensando così di convincere l’’agente a cancellarla.