Mentre negli altri Paesi europei la tendenza è di programmi serali di non più di un'ora, nell'ex Bel Paese si continuano a produrre prodotti di oltre tre ore. Ma qualcosa sta cambiando
La civiltà televisiva di un paese non si misura solo dalla qualità dei suoi programmi, ma anche dalla loro lunghezza. Il caso delle prime serate è emblematico. Ormai siamo rimasti sono noi italiani, insieme ai colleghi spagnoli e, a volte, francesi, a sfiancare i telespettatori con programmi di tre ore e passa. Quasi ovunque ormai la regola è che un’ora è più che sufficiente; e per chi non ne ha proprio ancora abbastanza, si programmano magari due puntate di fila di uno stesso show. La giustificazione addotta dai broadcaster è che in questo modo si risparmia. Dal momento che nei paesi mediterranei si va a letto più tardi (o almeno così si dice), le prime serate devono durare di più; e fare un unico programmone lungo costa di meno che farne due o addirittura tre più brevi. Messo così il ragionamento sembra filare.
Per avere però un quadro completo della situazione, bisognerebbe prendere in considerazione l’offerta televisiva nel suo complesso. I format più interessanti e innovativi si svolgono oramai fuori dagli studi televisivi. Lo studio è perfetto per i game, i talk e i programmi d’approfondimento in genere, grandi classici che anche all’estero continuano a essere sempre molto apprezzati da una larga fascia di pubblico. Ma per il resto, per tutto il resto, si va fuori, en plein air, a contatto diretto con la realtà delle cose e della gente. La tendenza, e non da poco, è inequivocabilmente questa: anche i generi in voga da molti anni, come il reality e il talent, sono stati “rivitalizzati” portandoli fuori dagli studi e dando loro nuovo ossigeno. Senza contare che tutti i nuovi generi e le vere novità nel campo dell’intrattenimento (come per esempio i factual, di cui abbiamo già parlato) sono concepiti sin dall’origine per essere girati completamente in esterna. Il punto è che un programma interamente in esterna non regge le nostre canoniche tre ore e passa. Già è estenuante per una fiction, che ha una sceneggiatura precisa, può disporre di mezzi molto superiore ed è interpretata da attori professionisti. Figuriamoci per un format d’intrattenimento, che non può contare su niente di tutto questo.
E così nel passato si è tentato di ovviare al problema innestando una parte di studio su programmi che non lo prevedevano affatto. Il risultato è stato quasi sempre un mezzo fiasco. Queste aggiunte posticce non c’entravano un fico secco e spezzavano anzi immancabilmente il ritmo del programma. Erano insomma un puro espediente per tirare in lungo e arrivare a toccare il traguardo delle fatidiche tre ore imposto come dogma dalle nostre principali reti. Peccato, perché in questo modo si sono bruciati programmi anche molto interessanti, snaturati e imbastarditi completamente da propaggini inutili e nocive. La buona notizia è che forse adesso, con ritardo di molti anni, anche da noi qualcosa sta cambiando.
Il lancio di Pechino Express due stagioni fa e il recente Boss in incognito su Rai2 stanno facendo un po’ da apripista in questo senso. Ok, non siamo ancora all’ora lorda a puntata, ma la riduzione è sensibile. Anche Rai1 con Così lontani così vicini ha finalmente rinunciato allo studio e i risultati sono stati incoraggianti. Mediaset è forse un po’ più indietro. A parte i programmi giornalistici (tipo Lucignolo) uno dei casi più significativi è stato Extreme makeover: home edition Italia, andato su Canale 5 la stagione scorsa, anch’esso girato completamente in esterna e con durata di “solo” 90’. E torniamo adesso alla questione economica. Tra i tanti vantaggi di questi “nuovi” generi c’è quello che costano un bel po’ meno. Per fare grande e lungo show di studio su un canale generalista (programmi d’informazione a parte, che sono molto più economici) una rete sborsa tra i 700mila e il milione e 200mila euro a puntata. Per uno completamente in esterna, ben fatto e della durata di 1 ora o poco più, si sborsano grossomodo tra i 150 e i 400mila euro (in alcuni casi anche meno). E allora, alla fin fine, dov’è tutta questa convenienza a fare un programmone di durata interminabile anziché due di durata più umana?