L'Eurotower non tocca il costo del denaro e lo lascia agli attuali minimi storici. Il presidente: "Politica Bce non si riflette sui tassi in Italia e Francia". E poi rassicura sul rischio di un calo dei prezzi. Ma per gli analisti resta una reale minaccia per la ripresa
Mario Draghi tenta di allontanare lo spettro della deflazione. “L’Eurozona sperimenterà un lungo periodo di bassa inflazione“, ha avvertito il presidente della Banca centrale europea, ma “seguirà poi un rialzo graduale dei prezzi” e per questo motivo è presto per parlare di “deflazione”. Rispondendo ai giornalisti a Francoforte, l’ex numero uno di Bankitalia ha spiegato che la Bce “monitora attentamente” gli sviluppi sui mercati monetari ed è pronta ad “azioni decisive” se necessario, promettendo tassi ai livelli attuali o inferiori “ancora a lungo”.
L’Eurotower ha poi annunciato che il tasso d’interesse di riferimento resta invariato al minimo storico dello 0,25 per cento. “Gli effetti della politica monetaria di bassi tassi della Bce non si riflettono a quelli applicati in Italia e in Francia“, ha affermato il presidente dell’istituto centrale durante la conferenza stampa.
Tornando al rischio deflazione, Draghi ha precisato che “non c’è alcuna analogia con la situazione del Giappone negli anni ’90” e ha ricordato che l’inflazione nell’area della moneta unica “non è molto diversa dagli Stati Uniti, dopo la ripresa è in corso da più tempo”. Il numero uno dell’Eurotower ha quindi spiegato che l’andamento dei prezzi al consumo è condizionato “dai prezzi di energia e cibo” ma anche “dalla debole domanda, dovuta all’elevato tasso di disoccupazione”.
Ma molti analisti – come riportava nei giorni scorsi il Financial Times – restano convinti che un periodo prolungato di calo dei prezzi possa rappresentare una reale minaccia per la ripresa. “I rischi di deflazione ora sono maggiori”, affermano gli osservatori, sottolineando che se la minaccia deflazione si realizzasse questo potrebbe esacerbare le pressioni sui Paesi della periferia dell’area euro aumentando il costo del debito e soffocando le spese di famiglie e aziende. Tra gli economisti, poi, non manca chi sostiene che alcuni settori economici abbiano già crescita negativa. Anche per questo la Banca d’Inghilterra ha lasciato i tassi di riferimento invariati allo 0,50% confermando il piano di riacquisto Bond a 375 miliardi di sterline.
Proprio l’inflazione era uno dei dossier alla base dell’incontro dei banchieri centrali, che si sono riuniti oggi. Continua infatti a preoccupare l’aumento dei prezzi, in ulteriore rallentamento nell’Eurozona (0,7% a gennaio), in Paesi come l’Italia (0,6%) e inferiore alle attese persino in Germania (1,3%), che assottiglia pericolosamente la distanza di sicurezza dal rischio-deflazione. Draghi – come aveva già fatto in passato – non ha nascosto che l’inflazione è molto bassa e ci rimarrà “a lungo”, promettendo di agire se i rischi di deflazione si facessero troppo concreti.
E ha cercato di rassicurare sul rischio deflazione. Ogni crisi finanziaria, ha detto, “è sempre seguita da un periodo di bassa inflazione”. E quella in corso è dovuta ai bassi prezzi alimentari ed energetici globali e a Paesi come Portogallo, Irlanda e soprattutto Grecia, il Paese più in difficoltà che secondo Bloomberg potrebbe ricevere dall’Ue una estensione a 50 anni dei suoi prestiti, con un taglio dei tassi su alcuni degli aiuti già ricevuti.
L’altro dossier all’ordine del giorno sono i tassi troppo alti che le banche si applicano sui prestiti di liquidità fra loro. Gli stress test sulle banche non hanno infatti ancora fatto chiarezza sui bilanci. C’è quindi poca fiducia a prestare liquidità, specie verso il Sud dell’Eurozona. Aggiungendosi allo spread sui titoli di Stato, che fa salire i tassi pagati dalle banche e applicati poi sui prestiti a famiglie e imprese, tutto ciò amplifica la stretta creditizia che sta frenando la ripresa in Paesi come l’Italia.