E se l’eroina, in questi anni, si fosse solo nascosta? Pensavo a questo stupendomi del fatto che in pochi giorni mi si sono presentate scene che avevo rimosso dalla memoria. Una ragazza che chiedeva al farmacista la siringa e a cui ho dovuto pagare l’intera confezione, perché sfuse non ne vendono più e soldi, lei, non ne aveva. Un ragazzo che ad un bar di viale Monza ha mangiato un toast al mio stesso tavolo mettendoci il triplo del tempo perché si addormentava tra un boccone e l’altro. Infine, una coppia di ragazzi accucciati tra due macchine nell’intento di iniettarsi eroina a pochi metri da casa mia.
Lavorando in questo settore so bene che questa droga non è mai del tutto scomparsa. Si mantengono sacche di emarginazione che si alimentano di eroina anche se non più assillati dalla quotidiana necessità di assumerne, grazie ai farmaci che i servizi pubblici, meritoriamente, erogano. Ma è anche vero che la crisi economica produce per molti disperazione e per altri straordinarie opportunità: una di queste, forse, potrebbe essere una strategia tesa a rimettere, con maggiore pianificazione, questa sostanza sul mercato.
La clientela, teoricamente, non manca. Dopo l’ondata di sostanze prestazionali (cocaina e mdma) degli scorsi anni non sono pochi i consumatori a cui il principale derivato dall’oppio potrebbe offrire un accogliente e onirico sonno. Una cuccia in cui raccogliersi e mettere a tacere le devastazioni neurologiche e comportamentali causate da abusi di psicostimolanti o simili.
Ne film La grande bellezza mi ha colpito la naturalezza con cui Sorrentino racconta un personaggio del genere, nella figura del gestore del night club che si autodenuncia, coglione e fesso, perché a sessanta anni è passato dalla cocaina all’eroina.
Taccio sulla ricaduta di quel grande attore morto a New York che ci ha indotto a riassaggiare – per causa di morte, luogo (il Village) e aghi infilati – il sapore amore di un passato che non vorremmo più rivivere.
In più con giovani uomini e donne che non hanno più memoria di quelli che furono gli anni 80 tra facce scavate, sdentate, emaciate e agglomerati umani che bivaccavano, attendendo il loro Godot, tutto il giorno al giardinetto. Non ne hanno memoria perché non li hanno viste e forse noi, generazioni più anziane, per vergogna o incapacità, non sappiamo raccontarle.
Mi auguro che sia una mia para-senile bizzarria. Una impressione dettata dalla stanchezza di essere ancora qui ad occuparmi di vite sghembe e sfasciate. Mi auguro che sia l’insieme di queste cose a produrre in me un senso di angoscia al solo pensare che quegli anni, di morte e disgregazione, possano un giorno riaffacciarsi.