Fiumi che straripano, invadendo parti di città. Ma anche “solo” la pioggia che allaga vie e piazze. L’acqua quasi copre ogni cosa, lasciando bene in vista sbagli e omissioni di sempre. La disperazione di chi si ripara dove può si mescola alle parole un po’ vuote di sempre. L’Italia fa i conti ancora una volta con le sue scelte sbagliate. Osserva con inutile indignazione i danni ai suoi monumenti. Almeno quelli in qualche maniera noti.
Come accaduto a Punta Epitaffio, tra Pozzuoli e Bacoli, nei pressi dei resti della villa dell’imperatore Claudio, dove è crollata una parte di un altro impianto residenziale. Fino a pochi anni fa inglobato in una struttura abusiva, poi abbattuta. Le strutture superstiti, oltre a quelle distrutte, si trovano in un’area con estrema difficoltà accessibile. In ogni caso mai interessate da una qualsivoglia manutenzione. Ma anche come accaduto a Pompei, all’interno dell’area archeologica, dove la caduta di un intonaco ha rivelato l’esistenza di un’iscrizione. Quella del locale magistrato Lucio Seio Secondo, dipinta sullo stipite dell’ingresso di una domus, lungo via dell’Abbondanza. Soprattutto, come accaduto a parte delle fondazioni del tempio dorico di Monasterace Marina, in provincia di Reggio Calabria, ai bordi dell’area archeologica del centro ellenistico di Caulonia. La struttura a blocchi, a brevissima distanza dalla costa, da tempo minacciata dall’erosione, che già a novembre aveva provocato il crollo di terreno con stratificazioni archeologiche. Come verificatosi a Volterra, dove, in corrispondenza della piazzetta dei Fornelli, in pieno centro storico, sono crollati circa 30 metri di mura medievali oltre alla sede stradale.
Come accaduto a Roma dove un contrafforte della Torre delle mura Aureliane, nei pressi di piazzale Ardeatino è franato.
Le risposte alle distruzioni da parte delle istituzioni ed in particolare del Ministero dei Beni Culturali, differenti. Anche se in ogni caso colpevolmente tardive. Il caso esemplare quello di Caulonia, dove solo a disastro avvenuto, dopo reiterate segnalazioni del pericolo, si è riusciti a trovare risorse. Uno “stanziamento urgente e straordinario di 300 mila euro per un primo intervento urgente di messa in sicurezza del sito, somma che sarà messa immediatamente a disposizione della Soprintendenza per i beni archeologica della Calabria”, come pubblicato il 2 febbraio sul sito online del Ministero. A Roma e Volterra le procedure addirittura più celeri. Nella prima la Sovrintendenza comunale ha affidato con urgenza i lavori di restauro ad una ditta. Con l’accordo di iniziare non appena le condizioni meteorologiche lo consentiranno. Invece nel centro del pisano un primo consolidamento dell’intera zona interessata dal crollo sarà avviato entro la fine della settimana, mentre a partire dal 10 febbraio sarà definito un piano di monitoraggio complessivo e le fasi successive dei lavori. Il tutto reso possibile dal milione di euro anticipato dalla Regione Toscana.
D’altra parte crolli causati da precipitazioni si erano verificati anche nei mesi precedenti. Con Pompei ancora colpita duramente. Agli inizi di dicembre si è sbriciolato il muro di una bottega lungo via Stabiana. Alla fine di Novembre aveva ceduto parte della muratura in opera mista pertinente ad una domus lungo il vicolo di Modesto nella Regio VI. Agi inizi dello stesso mese era toccato in sorte ad un ambiente nella domus n. 21, lungo via dell’Abbondanza, nella Regio VIII. Ma anche altrove, diversi gli episodi. Alla fine di dicembre era volata via parte della copertura della Villa di Arianna, a Stabia, lasciando così le strutture esposte alle intemperie. A novembre, ad Ercolano, aveva ceduto il tetto della domus dell’Atrio Corinzio.
Ancora ai primi di dicembre, il crollo di un considerevole tratto di mura medievali di Penna San Giovanni, nel maceratese. Ad Ottobre era stata la volta della villa imperiale sulla costa di Anzio. Parti delle strutture realizzate sul banco naturale con tanto di pavimento a mosaico, franate in mare.
La casistica disparata e quasi infinita se si dilata cronologicamente l’analisi. Grandi crolli, riportati dalle agenzie di mezzo mondo, il lungo tratto di mura Aureliane tra Porta Ardeatina e Porta San Sebastiano, a Roma, nell’aprile 2001, quello, ancora alle mura Aureliane, a San Lorenzo nel novembre 2007. Oppure quello di una delle gallerie traianee della Domus Aurea nel marzo 2010. Ancoraquello della domus dei Gladiatori a Pompei nel novembre 2010. Ma anche, tanti, crolli di troppe altre strutture disperse per l’Italia. Episodi senza alcuna rilevanza mediatica, se non quella locale.
Certo, il patrimonio archeologico è straordinariamente diffuso. Esteso a tal punto da non essere censito, se non in minima parte. Nello stesso tempo le risorse esigue. Troppo per provvedere al monitoraggio, alla concreta tutela di tutto. Queste, spesso, in sintesi le ragioni richiamate per tentare di giustificare l’ennesimo crollo. Ragioni che separatamente appaiono fondate. Evidentemente. Ma che non possono fornire alcun alibi. Quella serie di perdite non deve avere giustificazione. La gran parte di esse è l’esito scontato di incapacità di lungo corso. A dimostrarlo, in fondo, sono proprio le determinazioni prese in alcuni casi, quelli con un maggiore risalto mediatico, dopo i crolli. I rapidi atti con i quali si procede ai restauri. Al ripristino dell’ante quem. Con risorse bell’è pronte alla necessità. E’ così che quelli che a tutti gli effetti sono i maldestri tentativi di porre rimedio a proprie inefficienze vengono trasformati in beaux gestes. In occasioni per dimostrare sensibilità verso l’archeologia e la storia. Eppure quasi sempre erano ampiamente noti, perchè anche da tempo segnalati, i pericoli.
La pioggia che cade, come i corsi d’acqua che straripano, sono eventi naturali. Che vanno “guidati”, con competenza. Le parti di città e di territori sott’acqua, i danni alle strutture del presente e a quelle del passato, sono soltanto l’inevitabile conseguenza di incapacità diffuse. Di colpe reiterate di troppi. La storia deve andare avanti, naturalmente. Ma senza seppellire sé stessa.