Sul penultimo numero di Internazionale, la giornalista britannica Jennifer Grego chiude così la sua ottima recensione al film La mia classe di Daniele Gaglianone: “meriterebbe una distribuzione più ampia”.
Ne sono convinto anch’io, non foss’altro perché sono uno dei produttori del film. Proprio per questo non posso entrare nel merito delle sue qualità, ma posso sicuramente registrare il giudizio mediamente più che positivo dei critici e soprattutto della decina di migliaia di spettatori che fin qui hanno potuto vederlo.
Il film, prodotto anche in collaborazione con Raicinema, è stato da subito ritenuto non idoneo a 01, la distribuzione di casa Rai. E’ stato bocciato da Lucky Red, Teodora, Good Films, perché ritenuto ora non in linea con la politica aziendale, ora troppo sperimentale. Solo Officine Ubu ha formulato una proposta di distribuzione, che noi produttori abbiamo preferito non accettare, perché troppo dispendiosa. Allora abbiamo deciso di procedere all’autodistribuzione con il nostro ormai storico marchio Pablo. Ci siamo trovati a scontrarci da subito con una delle tante anomalie del nostro Sistema cinema: a Torino e Roma, le due città in cui su carta il film più garantiva un minimo di riscontro, le sale che volevano programmarlo non hanno avuto la possibilità di farlo, perché sotto l’egida di Circuito Cinema, che non ha dato il suo assenso. Fabio Fefè, uomo chiave di Circuito Cinema, mio amico da anni che mi ha aiutato a rendere Pablo un marchio che dal 1998 ha significato qualità ma soprattutto dignità, non so bene perché ha preferito non rispondere neanche ad un accorato messaggio personale. Ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo deciso di fare senza, anche e soprattutto grazie ai molti esercenti che in Italia ancora lottano per l’indipendenza e per un cinema di qualità. Grazie a loro, a cominciare da Antonio Sancassani a Milano e a Fabio Meloni a Roma, il film ha iniziato a vivere e per certi versi, nel suo piccolo, ci è esploso tra le mani, in decine e decine di città in cui il film è stato, è, sarà in programmazione. E il fenomeno non accenna a fermarsi, anzi.
Io non lo so se tutto questo sia giusto o no. Io credo che l’unico modo di rispondere a tutto questo sia continuare a fare, senza piangersi addosso, tenendo alta la testa. Addirittura rilanciando: Napoli è una città troppo difficile dal punto di vista cinematografico, dove il potere è più o meno nelle mani di due persone che non amano rispondere, dove in questi giorni chiude un cinema importante come l’Arcobaleno? E io allora il film da giovedì 13 febbraio lo programmo all’Auditorium occupato Carla e Valerio Verbano (Mezzocannone 14), in un posto nel pieno centro della città, in cui ci sono un gruppo di persone con cui nel frattempo stiamo lavorando ad un progetto meraviglioso che si chiama Laboratorio Mina, che osa sognare che si possa costruire, da Scampia a Mezzocannone, un polo assolutamente autonomo di studio, ricerca e realizzazione di un cinema che sappia rispondere affermativamente alla domanda che Valerio Mastandrea fa a Daniele Gaglianone nel film: serve ancora a qualcosa fare un film?
Sarebbe bello che la cittadinanza napoletana assediasse, per così dire rioccupasse l’Auditorium, perché anche dalla militanza degli spettatori passa la nostra resistenza.