Oggi entra in vigore il d.lvo 28 dicembre 2013, n. 154 (c.d. decreto filiazione) che persegue un principio sacrosanto: l’uguaglianza tra i figli nati dentro e fuori dal matrimonio. Peccato che per farlo ne violi uno altrettanto sacrosanto: l’uguaglianza tra i genitori dei figli. Un abominio consumato nel silenzio e nell’ipocrisia di locuzioni quali “responsabilità genitoriale”.
Infatti il decreto filiazione (che chiamerò “s-filiazione della paternità”) è divenuta l’occasione per violare la legge delega, così espugnando il Parlamento della sua precipua funzione legislativa, col modificare in peius la l. n. 54/2006 sull’affidamento condiviso. Quest’ultima già tradita nei suoi principi fondamentali da una vergognosa prassi (giurisprudenziale) largamente diffusa, arrogante, conservatrice e retrograda culturalmente, che ha sostituito in 8 anni il principio del “condiviso” col “falso condiviso” (con l’invenzione del genitore collocatario), così restaurando surrettiziamente il dominio incontrastato di un genitore (la madre) sull’altro (il padre), quest’ultimo relegato ad un ruolo marginale. Una visione d’altri tempi.
Tale visione distorta si trae dal contenuto dei provvedimenti giurisdizionali nei quali il padre è sistematicamente asservito e relegato ad esercitare il diritto fondamentale della genitorialità (ex art. 30 Cost.) nel 10-15% della vita temporale nel rapporto genitore/figlio.
Una giurisprudenza che ha restaurato la configurazione del genitore di serie A (quasi sempre la madre, tranne casi di estrema gravità) e il genitore di serie B (il padre), senza rendersi conto di avere creato tre mostruosità: a) giuridica, avendo violato la ratio della l. 54/2006; b) sociale, avendo ingenerato un cambiamento ingegneristico dell’evoluzione naturale della società che vede invece i padri sempre più consapevoli e amorevoli verso i figli; c) antropologica, arrecando danni irreparabili ai figli, domani adulti.
Veniamo dunque ai passaggi aberranti del decreto filiazione, che tradotto dalla Commissione Bianca è andata ben oltre la delega sancita dalla l. 10 dicembre 2012, n. 219 con l’art. 2. In essa non si fa cenno difatti alla potestà di trasformare la l. 54/2006, mentre il decreto filiazione lo fa, svuotandola. Palese pertanto l’illegittimità di tale normativa per eccesso di delega, che non potrà non risultare da un pronunciamento della Corte Costituzionale, appena sarà solleticata dalla valanga di richieste del giudice ordinario, anche e soprattutto su impulso dei tanti padri che si vedranno espropriati della paternità. Ed allora qualcuno poi dovrà ben rispondere degli illeciti consumati in forza di legge (manifestamente illegittima, anche per violazione dell’art. 30 Cost.).
Ancor più grottesco osservare ciò, ove si pensi che la stessa l. 219/2012 inserisce immediatamente (con l’art. 1) nell’art. 315 cod. civ., l’art. 315-bis un rafforzamento del c.d. diritto alla bigenitorialità (principio pure della l. 54/2006).
Per chi ha studiato, come me, sui libri del Prof. Bianca, è certamente una delusione sapere che in tale decreto si è fatta “macelleria sociale”, sotto la vigilanza di un tale giurista. L’impressione è che tale “prodotto” sia frutto della scientifica volontà di tornare ai (ne)fasti del passato.
Nel d.lvo 154/2013, fa ingresso il nuovo art. 316 (Responsabilità genitoriale) cod. civ. che introduce il concetto di “residenza abituale” mentre alcune corti già iniziavano a postulare, in un vero percorso condiviso, la residenza congiunta o c.d. doppia residenza, come già avviene in altri Paesi.
Nel voluminoso art. 337-ter (Provvedimenti riguardo ai figli) cod. civ. da un lato si rafforza il potere del giudice nell’affidamento dei figli, sino all’arbitrio, dall’altro si introduce “la corresponsione di un assegno periodico” così istituzionalizzando (nella l. 54/2006 assente) il principio di un versamento periodico quale unico strumento di sostentamento (e potere) per il genitore prevalente.
Il successivo art. 337-quater (Affidamento a un solo genitore e opposizione all’affidamento condiviso) completa poi l’ampliamento della potestà dell’organo giudiziario, ignorando la ratio della l. 54/2006 di giungere all’affidamento esclusivo solo per gravi motivi.
Infine la portata dirompente dell’art. 337-sexies (Assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza) cod. civ. ove è sancito che “In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all’altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l’avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio. La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno” che legittima ma soprattutto incentiva il cambio di residenza, senza alcun accordo ma unilateralmente, con l’unica formalità di avvisare (anche con un sms dunque) entro 30 giorni l’altro genitore a cose fatte. Un evento che andrebbe invece concordato ed eventualmente accettato solo ove strettamente necessario per il benessere del nucleo familiare (ancorché disgiunto) e per il minore. Così si disintegra il diritto bigenitoriale e il diritto genitoriale.
Una norma aberrante e mortificante che da sola ben spiega quale sia stata la ratio malevola che ha inteso demolir l’affidamento condiviso. Una tale vergogna dovrà essere presto cancellata.